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THE GREAT WIDE NOTHING |
The view from Olympus |
autoprod. |
2019 |
USA |
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“The Great Wide Nothing” è l’ennesimo gruppo di qualità “made in USA”. Senza pretendere di essere originali ad ogni costo, riesce a produrre un album molto piacevole traendo ispirazione dal più classico new prog di impronta anglosassone “contaminandolo” con momenti più hard (Spock’s Beard?) e da limitate reminiscenze seventies (Yes, EL&P…). Il trio, perché di trio si tratta, è composto da Daniel Graham (chitarre, basso, voce e compositore dei brani), dal keyboards-wizard Dylan Porper e dal potente batterista Jeff Matthews. Quattro sono i brani di “The View from Olympus”: due tracce di media durata, “Lethal Neon” e “Monument” posti ad inizio lavoro, la breve “Evening” e poi la lunga title track che chiude l’album per un totale di quaranta minuti. I nove minuti di “Lethal Neon” introducono in modo frizzante il lavoro. Un notevole utilizzo dell’organo (protagonista in quasi tutti i brani…) anche se Porper dimostra di avere buon gusto anche nell’utilizzo di piano e synth vari. Di grande effetto l’intermezzo strumentale con una solida ritmica a sostenere le effervescenti tastiere che culminano in uno sgargiante e coinvolgente “solo”. Il pianoforte stempera l’atmosfera frizzante in contemporanea con il ritorno del cantato di Graham che si cimenta anche in un bell’intervento con la sua elettrica. L’inizio di “Monument” (Jon Lord e i Purple non sono poi così lontani) promette buone sensazioni che sono confermate nel corso del brano. Le tastiere “vintage” mantengono il loro status preponderante con la ritmica ed il crescendo strumentale, di ottima fattura, che fanno il resto. Le “svisate” di Hammond, tra Heep e Purple, conferiscono un ulteriore flavour nostalgico al tutto. “Evening” è il momento acustico della raccolta: chitarra e voce… Carina, nel complesso. La title track (divisa in quattro sezioni) rappresenta l’apice dell’intero lavoro. Gli ingredienti ci sono tutti (un bene per molti, un limite sostanziale per altri): impianto melodico di qualità, qualche ammiccamento (nulla più) heavy, lunghe ed articolate sezioni strumentali, momenti acustici con piano, chitarra e flauto, qualche “ruffianeria” per accontentare vecchie e nuove generazioni (comprensibile in fondo…), break improvvisi che evidenziano le qualità e le abilità dei tre musicisti. Insomma, il classico brano che conterà, per motivi opposti, tanti estimatori, quanti detrattori. Per quel che ci riguarda, un album (seppur piuttosto breve) decisamente piacevole e promosso con buoni voti. Chiaramente destinato agli amanti del prog sinfonico tout-court, ma questa non è una colpa… anzi…
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Valentino Butti
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