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HALF PAST FOUR Rabbit in the vestibule autoprod. 2008 CAN

A volte (molte per la verità) avere a che fare con gruppi nuovi di questo ambiente ha i suoi lati positivi. Il nome di questo quartetto (e mezzo) canadese, mi era saltato agli occhi leggendo la newsletter di un noto distributore di cd americano, che li definiva una sorta di Echolyn con voce femminile.
Amando molto il gruppo di Buzby e compagni nella stessa maniera nella quale amo le voci femminili in campo rock,ero veramente curioso e contento di poter “parlare” di qualcosa che sia rock progressive senza aprire per forza vecchi armadi pieni di canfora e naftalina e devo dire che questa curiosità è stata ben ripagata.
A volte nel nostro mondo musicale si discute, si litiga, ci si accapiglia se è ancora giusto parlare di rock progressive nel XXI secolo, se esistono strade nuove da seguire o se è stato detto oramai tutto, se quello che il più delle volte si chiama nuovo corso del rock progressive c’entri effettivamente qualcosa con l’ortodossia di questo genere musicale o sia soltanto un altro genere musicale che noi spacciamo per prog. Beh… gruppi come questo stanno a dimostrare che forse la musica uscita negli ultimi dieci anni in campo progressive non è proprio da buttare, che non bisogna per forza aspettare la cariatide di turno per ascoltare musica di un certo livello, né seguire per forza le avanguardie estreme o le orchestre filarmoniche per sentire qualcosa che abbia “attitudine progressiva”.
Gli Half Past Four in maniera semplice e diretta (e sottolineo semplice e diretta, concetto che a volte si dimentica, ma che ha fatto la fortuna della nostra musica tra la gente “normale”, non rinunciando a tempi dispari, testi pretenziosi e strumenti musicali poco convenzionali per il rock) propongono un lavoro con pochi punti deboli, che non è stucchevole, che riesce ad unire pop, jazz, rock, elementi mediorientali fino ad arrivare al punk in maniera intelligente rimanendo sempre con tutti e due i piedi in ambito progressive e soprattutto proponendo un lavoro che suona moderno. L’accostamento con gli Echolyn è forse più formale che sostanziale, perché questo “Rabbit in the vestibule” riesce a non assomigliare a niente pur avendo tantissimi riferimenti musicali.
La bellissima (e veramente ai margini dall’iconografia vocale femminile progressive) ugola di Kyree Vibrant (ascoltatela in “Twelve little words”, dove è autrice di una prestazione maiuscola senza forzare mai una nota o un fraseggio), riesce ad unire e ad esaltare questo minestrone musicale che cambia di traccia in traccia senza mai stancare, inserendo di volta in volta elementi che ti fanno pensare ad un Frank Zappa, ai Gentle Giant, alla grande tradizione progressive degli anni 70 in brani che se passassero su un canale commerciale musicale qualsiasi nessuno griderebbe allo scandalo (a questo proposito se vi capita cercate su youtube i video -autoprodotti anch’essi-che accompagnano qualche brano di questo lavoro perché sono molto carini e fatti veramente bene) So che il vero ascoltatore progressive per convenzione non ascolta i cd in automobile, ma questo “Rabbit in the vestibule” ha oramai un posto fisso nel vano porta oggetti da svariati mesi e viene apprezzato anche da chi ha poco da spartire con questo mondo.
Abbiamo già scritto che tutto il cd è di alto livello, in ogni modo, i brani che colpiscono di più oltre a quelli già citati sono senz’altro “Biel” e “Rabbit” (le più “echolyniane” del lotto”), la teatrale (con un retrogusto alla Cardiacs) “Dwayne”, l’orientaleggiante “Salome”, la rassicurante per l’appassionato (e non è un caso che sia un brano strumentale) “lullaby”.
Dispiace che lavori di questo genere vengano snobbati dalle etichette e che si debba (anche per sentire qualcosa di non convenzionale) ricorrere sempre più spesso all’autoproduzione per far venire alla luce cose nelle quali ci si crede.
Dispiace che forse l’appassionato medio di rock progressive farà passare in cavalleria questo esordio che meriterebbe veramente attenzione.
Non siamo di fronte al tanto agognato lavoro che riporterà il prog ai vertici della musica mondiale, ma ad un disco che non sfigurerebbe in nessuna collezione dell’appassionato tipo.
Speriamo che i canadesi continuino il loro percorso musicale su questo livello perché sono i gruppi come questo che danno linfa a tutto l’ambiente.



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Antonio Piacentini

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