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JAGA JAZZIST Pyramid Brainfeeder Records 2020 NOR

Aspettavo questo album con trepidazione e il giorno che mi è arrivato per posta non vedevo l’ora di posare sul piatto lo strano vinile trasparente e lasciarmi travolgere dalla musica. Cinque anni fa ho letteralmente adorato “Starfire”. Il suo essere così frenetico, il suo uso dell’elettronica, con tutti quei sintetizzatori e le sequenze abilmente inserite negli arrangiamenti, la ritmica furiosa, la ricchezza dei dettagli sonori e le composizioni così cariche di momenti esaltanti mi avevano stregato e regalato parecchi orgasmi musicali. Niente di strano, quindi, che fare un confronto col nuovo lavoro fosse per me indispensabile. Da un lato speravo che “Pyramid” fosse una sorta di replica di “Starfire”, e allo stesso tempo pensavo che sarebbe stato meglio qualcosa di diverso perché inevitabilmente il confronto sarebbe apparso deludente.
“Pyramid” in effetti si discosta in parte dal lavoro precedente, recuperando atmosfere meno cervellotiche e preferendone altre più meditate. Lo stile compositivo dei Jaga Jazzist, o per meglio di dire di Lars Horntveth, autore come al solito di tutte le musiche, però rimane. Sin dall’apripista “Tomita” (ovviamente omaggio al maestro giapponese), è evidente come il suono della band norvegese sia stemperato da un’atmosfera rilassata e tendente all’ambient, almeno per i primi minuti. Il brano si evolve poi in senso ritmico mantenendo però una certa indolenza, per ripiombare di nuovo nella calma ambientale e riaccelerare successivamente in una sorta di altalena musicale. Stesse sensazioni per “Spiral era”, sorretta da una ritmica frenetica ma con melodie serene e distese lungo tutta la sua durata. “The shrine” recupera un po’ di energia, alternando momenti meno spinti ad altri più intensi, mentre la conclusiva “Apex” vede protagonisti principali l’elettronica, le sequenze e i sintetizzatori, abbinati alle progressioni armoniche che costituiscono uno dei marchi di fabbrica dell’ensemble norvegese.
Trovo “Pyramid” un disco piacevole e rilassante. Gli estimatori dei più noti lavori del gruppo (“One-armed bandit” e “What we must”), lo troveranno probabilmente inferiore, mentre quelli a cui piace “Starfire” potrebbero considerarlo un’evoluzione verso una strada più essenziale.
Alcune considerazioni sulla versione in vinile: il ritaglio a triangolo della copertina mostra un inserto argentato che si può piegare secondo linee predefinite in una piramide alta venti centimetri. L’idea è carina ma il risultato è un po’ ingombrante. Forse sarebbe stato divertente qualcosa da posare sopra l’etichetta del vinile, che ruotando avrebbe aggiunto un trip visivo a quello musicale. Il vinile trasparente ha purtroppo un evidente fruscio di fondo che rovina l’esperienza d’ascolto, tanto che in genere preferisco utilizzare i file wave scaricabili col codice allegato. Non ho idea di quanto sia costata la piramide, ma ritengo che privilegiare una maggiore qualità del vinile sarebbe stato, ovviamente, meglio.



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Nicola Sulas

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