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MARCO LO MUSCIO, JOHN HACKETT, CARLO MATTEUCCI Playing the history Hacktrax 2013 UK

Un disco con brani di Genesis, Hackett, Wakeman, King Crimson e Pink Floyd? Potrei immediatamente scatenarmi contro l'inutilità di proporre ancora una volta musica già sentita, contro lo spazio rubato ai dischi di band emergenti, contro l'inutilità dei tributi e delle cover band, ma credo che la recensione diventerebbe noiosa e scontata. Preferisco vedere la cosa da un altro punto di vista. Esprimere un parere su qualcosa che tutti gli appassionati conoscono, che fa parte della storia ed è ormai diventato un classico, in teoria dovrebbe facilitare le cose. Dopotutto non si deve parlare della qualità delle composizioni, sulle quali non ha senso discutere. Il problema principale in questi casi è stabilire se il prodotto finale ha un senso o, in maniera più ampia, considerare se ha ancora un senso fare un disco del genere, o perlomeno acquistarlo. Ciò nonostante, ascoltando il lavoro, mi sono reso conto che esso non è un vero e proprio tributo, né una semplice raccolta di brani. Sembra piuttosto un omaggio ad un modo di fare musica, riproposta cercando di conferire un'impronta personale e omogenea al tutto, sempre coi limiti delle partiture originali che questo comporta. Non c'è dubbio, infatti, che "Playing the history" sia dotato di una propria impronta stilistica frutto di una pianificazione accurata.
La mente del progetto è senz'altro Marco Lo Muscio, pianista e organista dotato di un curriculum di tutto rispetto ed estimatore del progressive classico, aiutato principalmente da John Hackett al flauto e Carlo Matteucci al basso ed alla chitarra. Ci sono alcuni ospiti, per la precisione Steve Hackett, David Jackson e Giorgio Gabriel. I musicisti si sono dati un gran da fare per donare ad ogni brano un sound rilassato e "pastorale", tendente fortemente all'acustico nonostante la presenza delle chitarre elettriche e delle tastiere (principalmente mellotron). Fondamentali la presenza del pianoforte e soprattutto dell'organo a canne, con il quale Lo Muscio suona quasi in solitaria "Jerusalem" e "Catherine of Aragon", e dona arrangiamenti molto particolari ad "After the ordeal", "Fanfare and lutes' chorus" e "The great gig in the sky". Soprattutto per il brano dei Pink Floyd, il trattamento riservato dai musicisti riesce a rendere interessante una musica già splendida senza stravolgerne il senso (particolarmente gustoso il solo di David Jackson, che col sassofono riprende i meravigliosi vocalizzi femminili). Il problema dell'organo è che per poter essere apprezzato in pieno necessità di un impianto audio di qualità. Solo chi possiede un sistema capace di riprodurre la musica ad alto volume e con dettaglio potrà percepire la profondità dei bassi e le escursioni dinamiche che lo strumento è in grado di produrre. Inevitabilmente, l'ascolto con un sistema non all'altezza risulterà castrato e farà perdere buona parte della magia della musica. Questo problema è meno evidente nelle tracce più rilassate, dove la presenza di Steve Hackett e del flauto di John contribuiscono a generare un'atmosfera più delicata ed intimista.
Tutto sommato non è difficile dare un giudizio a "Playing the history". Si tratta di un disco piacevole e rilassante, suonato da musicisti di primordine e contenente musica che ha fatto la storia del progressive. I brani meno noti, inoltre, quelli di John Hackett e di Marco Lo Muscio, ben si integrano con gli altri, contribuendo a dare omogeneità al risultato finale. L'unico problema potrebbe essere la scarsa propensione al riascolto. Dubito che dopo il primo periodo di assimilazione un fruitore esigente sia invogliato a inserire nuovamente il cd nel lettore. Ho però il sospetto che questo non sarà un problema per un ipotetico ascoltatore medio meno attento alle novità e più orientato a lasciarsi attirare dall'ennesima versione dei classici, per quanto validamente riproposta.


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Nicola Sulas

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