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LARD FREE I’m around about midnight Vamp Records 1975 (2022 Replica Records) FRA

Il 1975 vede il ritorno dei Lard Free, creatura a dir poco eclettica del batterista, compositore e polistrumentista Gilbert Artman, con una formazione rinnovata e con nuove idee che spingono il gruppo su territori più dissestati ed avanguardistici che mai per questa che rappresenta la loro seconda prova discografica ufficiale. Grande complice di questa resurrezione artistica è il chitarrista Richard Pinhas degli Heldon che aggiunge particolari Frippiani ad un contesto sonoro divenuto ancor più criptico ed impigliato. Proprio al repertorio degli Heldon, che rappresentano ormai un solido riferimento per i Lard Free, appartiene il brano "Pâle Violence Under A Réverbère" che compare nell’album “Third It's Always Rock'n'Roll” (1975) del gruppo di Pinhas col titolo di “Méchamment Rock” ed un mixaggio alternativo. Prevalgono visioni elettroniche oniriche ed oscure con variegate elaborazioni tastieristiche sempre a carico di Pinhas con i suoi synth Arp e Synthi Vks 3 e rafforzate da Alain Audat (Synthi Vks 3 e sax tenore). A queste si aggiungono le colorazioni cameristiche del flauto e del sax alto di Antoine Duvernot e dell’organo Hammond, del pianoforte, del sax tenore e del vibrafono abilmente domati da Artman, tessitore altresì di trame ritmiche leggere ed estremamente aleatorie. Le inflessioni jazz si sono totalmente disgregate per lasciare spazio ad un universo sonoro meditativo ed introverso, fatto di ossessioni sonore e temi musicali ciclici ed aleatori che fanno leva soprattutto sui registri elettronici e cosmici delle tastiere. L’album dura soltanto una trentina di minuti distribuiti nell’arco di 6 tracce per la cui realizzazione sono stati impiegati soltanto 3 giorni negli studi Ferber di Parigi sotto la guida dell’ingegnere Jacques Dutillet. I titoli stessi dei brani ci promettono strane esperienze come “violare lo spazio del suono refrigerante” e destinazioni esotiche tipo “in un deserto-alambicco” o ci ricordano concetti fin tropo ovvi: “il silenzio si interrompe quando arrivano i treni”. Il primo istinto appena parte “Violez L'Espace De Son Refrigerant” è quello di alzare gli occhi al cielo alla ricerca di un aereo che sta infreangendo il muro del suono, oppure la sensazione potrebbe esser quella di venti burrascosi che spazzano via le nuvole alte… comunque sia questa percezione viene inglobata da suoni in espansione, ronzii, effetti sintetici che occupano gradualmente lo spettro sonoro come un magma che avanza lento e ineluttabile. Ci troviamo così proiettati in un mondo dove non esistono punti di riferimento, melodie costruite o ritmi, catapultati in un’altra dimensione dove fluttuiamo storditi e confusi. Lo stacco col passato repertorio è netto e capiamo fin da subito che dobbiamo cambiare interamente le nostre prospettive se vogliamo continuare nell’ascolto. Senza interruzioni ci ritroviamo nella successiva “In A Desert-Alambic”, in cui si accende una base ritmica dalle sembianze etniche e la sensazione è quella di una carovana di nomadi che si fa strada fra le dune di un deserto. I suoni sono ciclici, saturati pesantemente dai synth e l’ambientazione è onirica e lisergica. In questo spazio dilatato si fanno strada le chitarre di Richard Pinhas che sembrano delle anime in pena. Nella traccia successiva ci si chiede se il Bakestan orientale (un nuovo stato dell’Asia centrale o il Pakistan pronunciato con voce nasale?) appartenga a sé stesso (“Does East Bakestan Belong To Itself”). Il nuovo brano è ancora in continuità col precedente in modo tale da lasciarci immersi totalmente in questa brodaglia di suoni senza darci respiro. Nuovi loop ci ronzano così nelle orecchie e questa volta entra in gioco il vibrafono che tintinna indistintamente in ogni direzione intersecandosi con la chitarra, mentre i synth si espandono ed il flauto finalmente ci connette in una ambientazione dai connotati più umani. Con questa traccia si conclude il lato A e visto che questa bellissima ristampa è proprio in vinile possiamo compiere il gesto rituale e terapeutico di alzare la puntina e girare il disco, cosa che serve in un certo senso a risvegliarci da questa straniante esperienza di ascolto che ci ingloba totalmente. “Tatkooz à roulette” si apre con un loop di organo che non si risolve mai, su cui riecheggia con un ciclo lentissimo il rintocco di quello che sembra uno strano marchingegno elettronico. A questo insieme si aggiunge un loop di synth e solo alla fine si inserisce uno schema ritmico in un crescendo che ci trascina verso altri mondi. Più che sulla composizione in sé l’ascoltatore è invitato a concentrasi sull’esperienza globale di ascolto e sull’ambientazione sonora nel suo insieme in quello che rappresenta un viaggio dello spirito e dei sensi verso mete ignote. “Pale Violence Under A Reverbere” acquista più corpo grazie alla sua struttura ritmica ben scolpita e ai riff della chitarra elettrica, emanando un’impressione minacciosa di ruvida forza, e ci proietta verso la conclusiva “Even Silence Stops When Trains Come” che esordisce in maniera inaspettatamente gentile con gli arpeggi disordinati e brillanti del pianoforte su cui incombe quella specie di vento o rombo distante che avevamo ascoltato in apertura dell’album. La sensazione che qualcosa stia per accadere genera ansia ed attesa ma sono proprio questi sentimenti a tenere banco fino in fondo fino a quando i suoni si dissolvono nel nulla. Ed è così che termina questo album minimalista, visionario, sperimentale, ennesima conferma della lungimiranza di un artista, Gilbert Artman, che non si pone limiti e non teme di cambiare radicalmente direzione sempre proteso verso nuovi orizzonti.



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Jessica Attene

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