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Non credo che molti di voi abbiano avuto la possibilità di ascoltare questo disco, se non forse su cassetta, dato che uscì in poche copie; anche questa ristampa non sarà proprio disponibile nel negozio sotto casa, ma vale la pena almeno provare a procurarsela. Il disco fa parte di quel ristretto pugno di opere che, sul finire degli anni '80, ridettero vita alla scena progressiva italiana... anzi, che la ricrearono ex novo. L'album è al tempo stesso molto naïf e maturo, artigianale e raffinato: la registrazione è quella che è e il cantato soffre di una orribile pronuncia inglese, ma i brani sono freschi e creativi, delicati ma possenti quanto a impasto sonoro, sicuramente influenzati da molti maestri dei '70s, ma da nessuno in modo preponderante (Genesis, Orme e Jethro Tull forse i primi nomi che vengono in mente). L'utilizzo del flauto non è limitato a un ruolo di contorno o di semplice abbellimento, ma è parte integrante del suono dei Malibran. I 5 lunghi brani sono da scoprire a poco a poco e non possono ce deliziare i cultori del Prog sinfonico della più classica scuola romantica e sinfonica.
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