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MANGROVE |
Coming back to live |
Mangrovian Music |
2006 |
NL |
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Sfruttando l’onda dell’accoglienza positiva riservata al loro secondo album di lunghezza piena (“Facing the Sunset”), gli olandesi Mangrove sfornano a stretto giro questo doppio lavoro registrato “in casa” ad Apeldoorn nel novembre del 2005 (e non nel 2006 come erroneamente riportato nel booklet).
Pubblicare un album live dopo appena due album di studio (e mezzo, contando anche l’EP “Massive Hollowness”) è una scelta che non mi trova completamente d’accordo, soprattutto se l’esecuzione dei brani aderisce in modo fedele alle versioni originali, come in questo caso; detto questo, la mossa potrebbe garantire risvolti commerciali positivi e costituire un biglietto da visita per chi non abbia avuto modo di apprezzare le opere precedenti; inoltre, può essere giustificata dal fatto che i nostri Mangrove sono una band con una frequentazione piuttosto intensa dei palchi (per ora, solo in madrepatria), pur non arrivando allo status di live band.
La musica contenuta nel primo CD (cronologicamente i brani più “datati”, tratti dall’EP citato e da “Touch Wood”) scorre via a dire il vero senza troppe emozioni: il canovaccio seguito è quello di un new-prog genesisiano, privo di contaminazioni estranee al genere. Le linee vocali, nonostante il timbro gradevole di Roland van der Horst, sono piuttosto scialbe e prevedibili, la chitarra elettrica melodica e liquida quanto basta e solo occasionalmente il suono è ravvivato da fughe di synth, apprezzabili ma sempre con entrambi i piedi nelle staffe del già sentito. Esemplari in questo senso sono “Wizard of tunes”, un brano lungo che si conclude un’estesa sezione tastieristica e citazioni di “Watcher of the Skies” e “Fading Sign”, un'altra mini-epica farcita con copiose iniezioni di Mellotron (campionato) da parte del validissimo Chris Jonker.
Ad accentuare l’inevitabile senso di stanca, il fatto che gran parte dei brani di questo primo disco possiedano lo stesso tempo, lento con qualche accelerazione contenuta e che ad ogni nuovo brano, all’esordio del cantato si ha l’impressione di ascoltare sempre la medesima melodia.
Il secondo CD è composto dai 3/4 dell’album più recente, inclusa la suite “Hidden dreams” e qualitativamente il livello sale in modo sensibile, ma si resta sempre un po’ perplessi di fronte alle qualità troppo “rassicuranti” della musica proposta, un prog classico totalmente privo di senso dell’avventura. Guardando il bicchiere mezzo pieno, notiamo che le soluzioni new-prog sono stavolta un po’ accantonate in favore di un’ispirazione che riconduce in modo diretto ai Genesis (il risultato, con pregi e difetti, mi ricorda in modo impressionante gli album che gli svedesi Twin Age produssero negli anni ’90, ma anche i nostrani The Night Watch), con un utilizzo maggiore dell’organo, pause ad effetto, arpeggi nostalgici ed uno stile vocale che fortunatamente si fa un po’ più teatrale ed espressivo.
In definitiva, la professionalità della band è indiscutibile e questa registrazione live ne è la prova lampante; inoltre il tempo e l’esperienza hanno in parte sopperito alle carenze dal punto di vista del songwriting; tuttavia consiglio di ponderare la scelta di un prodotto che potrebbe risultare superfluo a chi già possiede i lavori di studio.
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Mauro Ranchicchio
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