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MAGIC PIE |
Circus of life |
Progress Records |
2007 |
NOR |
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Torna, schierando in campo lo stesso sestetto, la band di Oslo il cui debutto (un paio di anni fa, intitolato “Motions of Desire”) fece gridare al capolavoro alcuni per la sua perfezione formale e storcere il naso gli altri per la sua sfacciata derivatività.
Tale divisione di opinioni potrebbe facilmente ripetersi con questo nuovo lavoro, accattivante, suonato e arrangiato in maniera ineccepibile ma indissolubilmente legato ai seventies, e non mi riferisco solo alla scena progressive (Pink Floyd e Yes su tutti), ma anche al periodo d’oro dell’hard-rock e in parte anche del rock-blues inglese.
Con una formazione che può vantare ben tre cantanti di ruolo (Allan Olsen, Eirik Hanssen e il tastierista Gilbert Marshall), è facile attendersi una proposta in cui uno dei punti di forza sia l’intreccio delle voci soliste e in tal senso i rimandi ai primi Spock’s Beard sono evidenti; gli stessi sono rafforzati dalla tendenza della band a inserire flash strumentali ad effetto in cui lo Hammond la fa da padrone, supportato da una sezione ritmica altrettanto frizzante.
C’è qualcosa nel sound dei Magic Pie che mi fa pensare in più frangenti ad una band statunitense, saranno forse alcune influenze pomp alla Kansas, sarà appunto la cura per le armonie vocali (anche se siamo lontani da CN&Y) o l’occasionale puntata verso stilemi prog-metal.
L’album è aperto dalla labirintica suite eponima, divisa in 5 movimenti; qui la parte del leone è recitata dai 22 minuti della quarta sezione “Trick of the Mind”, a sua volta divisa in quattro atti (…spero non divenga questa una nuova tendenza, se non altro per non appesantire il lavoro del recensore!) in cui la predisposizione ad alternare parentesi soft (“Welcome”, “Song of Sharing”) ad impennate di energia notevole (la strumentale “Freakshow”, l’hard un po’ stereotipato di “Song of Anger”, il metal virtuosistico di “Face to Face”) è già perfettamente rappresentata.
Il problema, perché anche stavolta non è tutto oro ciò che luccica, è che mai durante la lunghissima durata dell’opera si sobbalza per un’intuizione o per un colpo di genio, nonostante il gradimento resti comunque mediamente alto… in altre parole, la cura negli arrangiamenti rischia di prevalere sulla qualità del songwriting.
Fa un po’ eccezione alla prevedibilità la più breve “Pointless Masquerade”, in cui leggiadre polifonie vocali in stile Gentle Giant si alternano alle sfuriate di uno Hammond rovente ed una chitarra spagnoleggiante lascia spazio alle note di un sitar.
Forse non è questo il momento più opportuno per un prog-revival che punti direttamente ai tempi andati senza iniettarvi un ingrediente personale e che non tenga conto di trent’anni di evoluzione (malgrado qualcuno direbbe “involuzione”…); come si ripete in questi casi, i Magic Pie sarebbero stati una vera rivelazione se solo fossero nati 15 anni prima. Oggi, passata la fase della nostalgia, archiviata la plastica degli anni ’80 e raffreddato un po’ l’entusiasmo per la nuova scena scandinava - non sempre foriera di impagabili soddisfazioni progressive - un lavoro come “Circus of Life” posso solo segnalarlo come benfatto, gradevolissimo e rassicurante… per dirlo nelle stesse parole del gruppo: “have a piece of Magic Pie”, probabilmente non ve ne pentirete, ma purtroppo il suo assaggio non è indispensabile per cogliere le tendenze odierne del nostro genere preferito.
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Mauro Ranchicchio
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