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Sebbene abbiano già qualche album anche di buon livello all’attivo, l’ultimo datato 2008 (“Beneath the veil of winter’s force”), non avevo grosse aspettative per la nuova release del gruppo canadese guidato da Michel St. Père e che annovera tra le sue fila il “famigerato” Benoit David, colpevole (ma non troppo) di essere il sostituto di Jon Anderson nell’ultima (?) incarnazione degli Yes.
“One among the living” è invece un “signor” album, senza punti deboli o cadute di tono.
Oltre ai già citati St. Père e David, la band è composta da Steve Gagné alla batteria, mentre i numerosi ospiti di qualità (Daryl Stuermer, Oliver Wakeman, John Jowitt tra gli altri) contribuiscono a confezionare questo lavoro che senza esitazioni annovero tra i migliori sinora usciti nel 2010.
Sonorità molto moderne e frizzanti, ma pure complessi passaggi strumentali (la parte centrale della splendida “Until the truth comes out”), a dimostrare che si può realizzare un ottimo album prog anche strizzando l’occhio alla melodia di facile presa. E quando, come in “Kameleon man”, il suono si fa più duro, basta una sventagliata di moog di Wakeman figlio per ricondurre il tutto in ambito più “tradizionalmente” progressive.
La suite “Trough different eyes”, divisa in 6 parti, è il motivo di maggior interesse del cd. E’ inutile e fuorviante negare le influenze della band che vanno dagli Yes, of course (“The yes album“ e “Going for the one” soprattutto), ai Rush più moderni, ai Barclay James Harvest per la capacità innata di creare melodie vincenti o, infine, al pomp-rock tipicamente a stelle e strisce. Il tutto è, però, rinvigorito ed arricchito dalla notevole (e crescente) personalità della band che rielabora il tutto come meglio non potrebbe. Si ascoltino a tal proposito la parte I e la parte VI della suite, cioè “When sorrow turn to pain” e “Dancing with butterflies”, davvero molto belle.
Interessante anche la grintosa “One among the living” che riprende le sonorità del quasi omonimo brano iniziale (“Among the living”). Abbastanza atipica, con riff nervosi di chitarra ed un David piuttosto cupo o comunque lontano dalla tipica solarità andersoniana, è per contro “The falling man”. Ricca di cori, sound FM e poco altro per l’unico episodio “minore” dell’album, “Sailing on a wing”, che non intacca minimamente la bontà di un lavoro che (per i puristi) ha l’unico difetto di poter essere ascoltato tranquillamente in auto con amici “profani” di musica prog.
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