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MARBIN |
Breaking the cycle |
Moonjune Records |
2011 |
USA/ISR |
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E’ un piacere trovarsi ogni tanto tra le mani uno dei colorati digipack della Moonjune, specialmente se il dischetto incluso contiene musica fresca e piacevole come quella dei Marbin. I Marbin sono un duo di musicisti israeliani molto giovani (le note biografiche ci dicono che non sono arrivati ancora ai venticinque anni) ma già esperti e con un’avviata attivitàconcertistica in America, dove vivono. “Breaking the Cycle” è il secondo lavoro a nome Marbin (costituito dalla combinazione dei cognomi Markovitch e Rabin), e non è difficile intuire, ascoltandolo, quali sono i punti di riferimento a cui si ispira. Quando poi scopriamo che nella band che ha partecipato alla registrazione del disco erano presenti Steve Rodby al basso e Paul Wertico alla batteria, entrambi componenti per anni del Pat Metheny Group, gli indizi sono ancora più chiari, ma non ci preparano alla varietà stilistica presente nel lavoro. In pieno stile Moonjune, i Marbin confezionano una quarantina di minuti di musica che si reggono sull’ossatura un jazz-rock strumentale moderno oscillante verso la fusion ed il progressive, ma che, procedendo nell’ascolto, sorprende per il modo in cui viene stemperato da una notevole componente melodica ed una voglia di andare oltre alla rappresentazione delle sole capacità tecniche dei musicisti. Si nota, infatti, una certa cura verso la scrittura dei brani, tutti dotati di una propria identità, a volte con una struttura di base semplice ma arricchita da tocchi di classe che non ti aspetteresti da musicisti così giovani, i quali invece danno prova di maturità sacrificando l’esuberanza strumentale per preferire sostanza e musicalità. L’apertura è affidata al bel riff suonato all’unisono di “Loopy”, sospeso su una danza di percussioni e seguito dagli assoli di sassofono, chitarra e batteria, con un’atmosfera jazz-rock che getta un ponte tra passato e presente. Sfacciatamente Methenyana “A Serious man”, più delicata nel dipanarsi tra melodie e ritmi latineggianti, mentre è con “Mom’s Song” che si cambia registro: il brano, sussurrato da vocalizzi dolcemente sospesi in una melodia sognante, sembra quasi una ninna nanna. Atmosfere simili anche in “Outdoor revolution”, “Western sky” e “Claire’s indigo”, brani che caratterizzano fortemente tutto il lavoro in senso melodico. Abbiamo poi il blues da night club di “Bar stomp”, curiosamente grezzo rispetto al resto delle tracce, e altri due brani che tornano a motivi jazz-rock: la bella “Old silhouette” che viaggia sospesa tra sapori world e tentazioni ambient, e “Burning match”, che ricorda melodie della tradizione israeliana. La traccia finale rappresenta un caso a parte, essendo una canzone folk splendidamente cantata e accompagnata dalla chitarra acustica. “Breaking the cycle” è un album per certi versi sorprendente, almeno per il fatto di rinunciare quasi completamente al virtuosismo strumentale e basarsi invece sulla ricerca melodica ed emozionale. Markovitch e Rabin riescono a trasmettere all’ascolto delle loro composizioni una sensazione di bravura che non è mai esibizione pura, ma qualcosa che viene dal cuore e dall’anima. Da ascoltare per rilassarsi e per apprezzare tutte le sfumature della musica, indipendentemente dai generi, e per tuffarsi in una fusione totale di suoni e colori caleidoscopici e senza tempo.
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Nicola Sulas
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