|
MATER DEA |
Satyricon |
Midsummer’s Eve |
2011 |
ITA |
|
I torinesi MaterDea, fautori di un personalissimo approccio tanto al metal quanto alle tradizioni celtiche, immettono sul finire dell’anno il loro secondo album. Il progetto è nato dall’incontro tra la cantante Simon Papa ed il chitarrista Marco Strega. Due musicisti dal retroterra artistico parecchio nutrito, che va dallo studio della musica popolare alle esibizioni jazz. Un incontro che nella filosofia della band non è nato per caso e che ha poi portato all’elaborazione di una struttura musicale portatrice di immagini contenenti a loro volta creature fatate e suoni magici, tutti viatici che conducono al culto sereno della Grande Madre Terra. Tra le certezze dei nostri simpatici connazionali vi è quella che per fare buona musica occorrono la gioia di suonare e l’amicizia tra i musicisti, elementi capaci di far nascere delle vibrazioni positive all’interno delle proprie composizioni; è per questo che i due si sono circondati di determinati professionisti, scelti in base alla loro complementarietà. In effetti, elementi come Elisabetta Bosio (tutti gli strumenti ad archetto) ed Elena Crolle (pianoforte e tastiere) risultano imprescindibili nell’economia del sound di “Satyricon”, a cui si aggiungono il bassista Morgan De Virgilis ed il batterista Marco Cutrufo. L’album, che porta l’impegnativo titolo di un’opera omonima di Petronius Arbiter ed allo stesso tempo presenta un satiro beffardo in copertina, è composto da dieci pezzi votati ad un folk metal che di tanto in tanto, soprattutto in ottica di cambi di tempo, può essere anche accostato al “metallo progressivo”. Di certo i MaterDea dimostrano parecchia intelligenza, riuscendo quasi sempre a non strafare e mantenere i brani all’interno di quelle che sono le proprie capacità, senza lasciarsi andare a delle forzature che suonerebbero come delle pacchiane esagerazioni. La title-track e la seguente “Lady of Inverness” scorrono via limpide, tra riff heavy e refrain strumentali votati a ricreare quelle melodie celtiche di cui si parlava in apertura. Emblema di tutto quanto detto fin qui è senza dubbio rintracciabile in “Broomoon”, un’epica danza metallica attorno al fuoco che affonda le radici nel fertile terreno delle tradizioni europee nord-occidentali e che sicuramente dal vivo crescerebbe di potenza (da putiferio, se eseguita in una sagra paesana folcloristica!). Occorrerebbe citare anche la ballata “Awareness”, che specialmente nel ritornello ricorda i lenti drammatici composti da Yngwie J. Malmsteen ai tempi che furono (e torniamo sempre ai modelli nordici). Qualche perplessità, invece, sorge con “The Green Man”, che nonostante presenti degli ottimi “sinfonismi irlandesi”, purtroppo si perde in strofe ascrivibili molto facilmente a riferimenti come Evanescence o Nightwish, banalizzando quella che invece sarebbe potuta essere una buona canzone. In conclusione, volendosi esprimere in termini sportivi, i MaterDea, suonando con equilibrio, portano a casa i classici “tre punti” della vittoria e salgono di posizione. Ma se si desiderano raggiungere obiettivi davvero importanti, tipo quello di uscire da circuiti ristretti d’ascolto, occorre adottare una formula in cui ci si possa permettere di osare di più senza perderci in credibilità. Per far questo, oltre ad una preparazione che certo non difetta loro, sarà indispensabile impiegare una grande dose di fantasia. In bocca al lupo!
|
Michele Merenda
Collegamenti
ad altre recensioni |
|