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MEDIABANDA |
Siendo perro |
autoprod. |
2010 |
CHI |
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Con il titolo di questo terzo lavoro, “Siendo perro”, ovvero “Essendo cane”, i MediaBanda si riferiscono ad uno stile di vita basato sull’istinto e sull’arte di arrangiarsi che in cileno viene definito col termine “aperrar”. Questo significa per la band aprirsi varchi inaspettati, esplorare versanti sconosciuti, lasciare fluire l’adrenalina attraverso la musica, girovagare come randagi attraverso sonorità e sensazioni variamente assortite e sviluppare discorsi musicali duttili e variegati, utilizzando in maniera creativa quello che si trova via via per la strada. E’ naturale che questo sia un disco estremamente eclettico in cui convergono tanti versanti musicali mescolati assieme senza una gerarchia prestabilita e questa varietà si percepisce sia all’interno di una stessa composizione ma anche di canzone in canzone. Istinto significa anche immediatezza e freschezza ma non voglio certamente dire con questo che la musica sia qualcosa di rudimentale, anzi, come al solito questa band mette in mostra tutta la sua abilità tecnica e tutta la sua creatività: il fatto è che le canzoni in tutta la loro discontinuità ed imprevedibilità sono al tempo stesso di grande impatto e assai godibili. Rispetto ai due precedenti album, “Entre la ensecuridad & el ego” del 2004 ed il doppio “Dinero y terminación nerviosa” del 2007, questo nuovo lavoro presenta brani più urbani, disinvolti ed empatici, con un sound in parte rinnovato grazie anche all’arrivo di nuovi musicisti con Rodrigo Aguirre al flauto traverso e al sax tenore e Javier Barahona al basso e contrabbasso che si affiancano ai veterani Cristián Crisosto (sax alto, soprano e tenore, clarinetto basso, flauto traverso e voce), Sebastián Dintrans (chitarra elettrica), Christian Hirth (batteria e percussioni), Diego Aguirre (chitarra elettrica e voce), Cristóbal Dahm (sax baritono, alto e clarinetto) e Regina Crisosto che si ritaglia il ruolo di cantante leader con la sua voce in grado di arrampicarsi lungo sentieri scoscesi e vertiginosi. Chi conosce già il gruppo noterà senza dubbio la mancanza del pianoforte di Jaime Ramos e devo dire che senza di lui si affievolisce molto tutta la componente cameristica che in passato era maggiormente rappresentata, a vantaggio in questo caso delle chitarre che hanno un peso più consistente nel tratteggiare i disegni armonici i quali assumono una veste decisamente più rockeggiante. Il rullare festoso dei tamburi, un basso schioppettante e ritmiche funky aprono l’album con “Ya no soy el mismo que sería”, con la voce jazzy di Regina che sale e scende disegnando continui dislivelli. Sembra un inizio facile ma senza che neanche ce ne accorgiamo, con l’andare delle tracce, la musica tende a complicarsi. Sono sicuramente più intrecciati i disegni di “Workin pobres” e le trame ritmiche iniziano a frammentarsi, pur sussultando su cadenze sincopate coinvolgenti. Jazz e rock si intrecciano con piacevoli scossoni in questo breve strumentale che apre la strada a “La crisis llegó cuando estaba en el Mall”, dai suoni rotondi con fiati seducenti, con schegge di musica universale ed interessanti intersezioni sinfoniche. La voce di Regina è qui uno strumento musicale che si confonde assieme agli altri in tante spirali. Se questo vi sembra un album così ben addomesticabile non dovete far altro che continuare con l’ascolto che si colora via via di insoliti accostamenti. “Pasqualama” colpisce duro alle spalle con chitarre stranamente distorte che si uniscono in riff caustici a fare da base a testi dal contenuto politico, con incursioni cameristiche e persino aperture free-jazz, in un insieme davvero bizzarro. Visioni R.I.O. e paesaggi Hermetici illuminano di una luce dai colori strani “Procedo y miento” che, accanto a momenti privi di strumenti ritmici, ne presenta altri scanditi da un basso slap che si incastona non so come in questo contesto, seguendo equilibri fluidi ed instabili. Desta un po’ di perplessità un pezzo come “Deterioro plausible de los íconos erróneos” per la sua estrema pesantezza ed il cantato a slogan urlati abbastanza disturbante: ma nell’ottica di questo disco una cosa simile può anche starci, tutto sommato, così come, andando da un estremo all’altro, non ci stupiamo più di tanto se il pezzo di chiusura, la title track, è una ballad soft jazz in cui tutto sembra tornare come per incanto al suo posto. Apprezzo molto l’eclettismo di questo disco, che presenta comunque un disegno abbastanza compatto, ed il tentativo di rendere divertente e fruibile cose raccattate qua e là che apparentemente stenteremmo a vedere unite. Questo disco è, come avrete capito, diverso da quelli passati ma il cambiamento fa parte del gioco per i MediaBanda che sicuramente con questa loro filosofia artistica hanno trovato un modo tutto loro di esprimersi. Forse quelli che fra di voi vantano uno spirito più avanguardistico non apprezzeranno fino in fondo l’immediatezza di certe trovate e questa virata verso sentieri abbastanza indiavolati ma la fattura di quest’opera ribelle, condita di sarcasmo e testi sociali, squilibrata, brillante e fortemente scenica, è davvero ammirevole. Se non conoscete questa banda di matti il consiglio è di comprare a scatola chiusa tutta la loro discografia; l’unico problema è che questi artisti sono assolutamente non interessati a vendere i loro album, quantomeno fuori dal Cile, e quindi trovarli sarà una bella impresa. Io ci sono riuscita. Accettate la sfida?
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Jessica Attene
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