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MELNITSA Pereval CD Land Records 2005 RUS

I Melnitsa sono una band russa, formata nel 1999 a Mosca dalla cantante Natalia O'Shea. Oltre alle sue doti canore, Natalia vanta un'altra grande qualità: suona magistralmente l'arpa irlandese. Questo strumento, che ha sempre esercitato un certo fascino su di me, detiene un ruolo fondamentale nel genere attraverso cui i Melnitsa trovano espressione: il folk. Bucolico, romantico, idilliaco. Questo è lo stile della band, risultato di melodie incantevoli, avvolte in atmosfere medioevali e dal sapore antico. Inoltre, l'intreccio di archi e flauti, addolcisce il cantato in lingua madre (che ad alcuni può risultare ostico e pesante), rendendolo più delicato e fruibile. Delicatezza, un altro tratto distintivo dei Melnitsa, presente da subito nel loro disco d'esordio "Doroga sna"; un vero gioiellino dall'arrangiamento completamente acustico, accompagnato da percussioni poco accentuate. Il loro secondo lavoro in studio (“Pereval”), invece, denota un graduale accostamento ad un folk tendente al pop, grazie anche all'ingresso di una sezione ritmica più forte e decisa, pur restando fedele all'imprinting del gruppo. Questo è l'album che prediligo, almeno in questo periodo. Ero inizialmente scettica nei confronti di questa svolta pop, ma mi son dovuta subito ricredere. La batteria è inserita con cura nei loro brani, che guadagnano un incedere nuovo, un maggior coraggio rispetto ai più timidi brani (ma neanche poi tanto) del primo disco. “Pereval” inizia con un ritmo calzante che ci fa subito ben sperare. Prosegue con un brano molto commovente, di una bellezza struggente, grazie soprattutto alla voce di Natalia e alla presenza del violino. Ma c'è un'altra traccia in questo disco, in cui la cantante dà il meglio di sé: mi riferisco alla decima. Brano prettamente pop, con un'estensione vocale da brividi, che sembra canti di una sofferenza esasperata (questo è ciò che arriva a me, ignorando il testo). Il disco è comunque molto variegato, con diverse parti strumentali e un recitativo con voce maschile. L'uomo canta anche nel sesto brano, accompagnato da chitarra acustica e batteria, ma il risultato non è affatto entusiasmante. Sembra voler essere un pezzo ipnotico e arabeggiante, in realtà è solo riempitivo e noioso. Del tutto trascurabile. Tutt'altre emozioni, invece, scatena il terzo brano. Il mio preferito. Sono un'amante dei cori e qui sono presenti; rimandano ai canti popolari di un tempo, ad un passato da rispettare, ad una libertà agognata. Per concludere, mi sento di consigliare questo gruppo a tutti coloro abbiano una particolare sensibilità e un naturale interesse per le piccole e belle cose. Come è successo a me.


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Silvia Giuliani

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