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MINIMUM VITAL Pavanes Musea/Vital Music 2015 FRA

Già da qualche anno i Minimum Vital hanno iniziato a perdere un po’ di pezzi. La batteria di Didier Ottaviani e la voce di Jean-Baptiste Ferracci non si udivano già più nel 2008, con l’album “Capitaines”. Questa defezione spinse il gruppo verso una necessaria riorganizzazione di idee con un arricchimento delle sonorità acustiche, scandite da percussioni tradizionali e la scoperta di nuove colorazioni etniche con l’introduzione di strumenti della tradizione araba e saracena come l’oud ed il saz. “Capitaines” ci conduceva verso scenari inediti per il gruppo con risultati direi più che convincenti. Adesso che anche la cantante Sonia Nedelec è sparita di scena ecco che scompaiono quasi del tutto sia le parti vocali soliste sia quei tipici e squisiti intrecci vocali che caratterizzavano fortemente lo stile del gruppo. Il nucleo superstite rafforza il suo ruolo con le tastiere di Thierry Payssan che appaiono sempre più vigorose, le chitarre del fratello Jean Luc, sempre presenti, assieme al saz e all’oud, strumenti che, come abbiamo appena visto, il musicista ha adottato solo di recente, ed il basso di Eric Rebeyrol, sempre più cruciale nel sostenere trame ritmiche che si poggiano essenzialmente su semplici elementi percussivi e talvolta sulla batteria MIDI.
Ogni viaggio che si rispetti, soprattutto se si naviga in cerca di avventure e nuove scoperte, lascia, al ritorno a casa, esperienze nuove e tanti ricordi. Così, in occasione di questa settima uscita in studio, sembra quasi che il gruppo sia tornato alle origini del suo percorso musicale, avvicinandosi per certi versi allo stile di “Sarabandes” (1990), ad ora uno degli album più belli della discografia dei Minimum Vital, ma conservando alcune delle cruciali novità recentemente acquisite, come appunto le influenze mediorientali ed etniche. Come il titolo stesso ci lascia immaginare (la pavana è danza di corte del XVI secolo), sono ben udibili anche i riferimenti alla musica antica, con immagini sonore in cui si mescolano sensazioni di varia provenienza fra sonorità etniche, riferimenti colti, momenti sinfonici e ritmi popolari, ben scanditi. Lo stile è sempre allegro e frizzante, come si conviene ad una danza nata per intrattenere un raffinato pubblico di altri tempi, e gli arrangiamenti oscillano fra il moderno, talvolta con qualche vaga sensazione di fine anni Ottanta, e l’acustico.
I brani sono davvero tanti, diciannove in tutto suddivisi in due CD e, forse anche per la carenza dell’impianto vocale, danno una forte sensazione di omogeneità, succedendosi a volte anche in modo un tantino noioso. Le voci, quando ci sono, appartengono ad alcuni ospiti e cioè a Chfab, che interpreta un paio di pezzi, e Laure Mitou, protagonista in un brano soltanto. In “Sur Tes Pas”, in particolare, Chfab tenta di recuperare i consueti giochi di parole ai quali si mescolano gli intrecci del piano con ritmi che si muovono su piani sfalsati. Le voci si fanno eco in piacevoli polifonie ma, come preannunciato, la quasi totalità dell’album è puramente strumentale e fa gioco su geometrie abbastanza regolari e ripetitive. I momenti più interessanti sono quelli basati sulle mescolanze, di tinte, di sapori, di suggestioni e così “Saladin”, brano di apertura del secondo dischetto, vede intrecciarsi sonorità acustiche, che ci ricordano “Capitaines”, e vintage più affini a “Sarabandes”, con tastiere e chitarre in evidenza, suggestioni mediorientali, con oud e saz, ma anche mediterranee, con alcuni elementi spagnoleggianti. “L’Enfance des Sages” si basa su un mix elettroacustico di spessore con chitarre dal sapore rinascimentale e melodie disegnate da tastiere con registri che ricordano oboi. Il brano è solenne e privo di quell’enfasi e di quella giocosità tipica dei Minimum Vital. “Maria Flies” si avvale di ritmiche arabeggianti disegnate da corde pizzicate con precisione e sveltezza che si mescolano a sonorità Mellotroniche affascinanti e oscure di tromba. “Le Turdion” invece si muove sull’onda di una chitarra saltellante e veloce che corre su una ritmica regolare. Il brano, scarno, oscilla attorno alla stessa sequenza melodica in concatenazioni di loop. Pezzi come questo ci fanno pensare a idee appena abbozzate e sviluppate come sketch musicali, a ritagli colorati appiccicati qua e là, a momenti musicali che magari dispiace scartare ma che, tenuti lì, non contribuiscono di certo a fare la differenza. “Javary & Montago”, apertura del primo disco, è briosa e veloce, cono sonorità quasi anni Ottanta ingentilite da inserti acustici ma, con quel basso ritmato e la batteria a dir poco essenziale, appare un tantino buffa e caricaturale e in fin dei conti non sfigurerebbe affatto come colonna sonora di un vecchio videogame. “La Basse Danse” si basa su melodie dal fascino antico espresse con sonorità moderne, con ritmi cadenzati ed arie festose, su una base percussiva tradizionale che in questo caso appare molto più adeguata rispetto alla batteria MIDI del pezzo precedente. La quasi totalità dell’opera è firmata come di consueto dai fratelli Payssan con arrangiamenti che coinvolgono invece la band al completo. L’unico pezzo tradizionale del lotto è “Le Prisonnier Hollandais” che si muove su ritmi trionfali con esplosioni e suoni che rievocano azioni militari sullo sfondo. Che le melodie facciano effettivamente parte della tradizione o che siano pura invenzione fantastica poco importa, l’universo dei Minimum Vital è, nonostante le metamorfosi, sempre ben riconoscibile ed è questo un indubbio punto al favore di un gruppo che ha fatto la storia del Prog Francese contemporaneo. In molti aspettavano questo ritorno e sono lieta di avervi assistito, in molti si chiedono se il disco sia bello o quantomeno all’altezza dei precedenti. Il disco, anzi, i dischi sono belli, forse non proprio all’altezza dei precedenti, la nuova formula piace ma secondo me fare una maggiore cernita del materiale e concentrarsi su pochi pezzi selezionati da sviluppare a fondo avrebbe potuto fare la differenza. Questa mia osservazione rimane nel campo delle ipotesi, la realtà è che nonostante tutte le difficoltà il gruppo è ancora in pista e ne siamo felici.



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Jessica Attene

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