Home
 
PANDORA Sempre e ovunque oltre il sogno BTF/AMS 2011 ITA

Il vaso di Pandora è stato spalancato ancora una volta, forse per lasciare sfuggire la speranza, l’unica a rimanere chiusa al suo interno la prima volta che la curiosità femminile aveva prevalso sugli ammonimenti divini. Ma si sa, la curiosità alla fine si impone sempre. E se non possiamo paragonare la pubblicazione, due anni fa, del primo album del gruppo che porta in nome del mito femminile greco alla fuga di tutti i mali del mondo, la curiosità per questo secondo lavoro c’era, almeno per il sottoscritto.
“Dramma di un poeta ubriaco” ha avuto successo tra gli estimatori di certe sonorità italiane classiche, grazie ad un’ispirazione abbastanza rispettosa della tradizione accompagnata da un generale tentativo di modernizzazione che faceva dell’esuberanza strumentale (soprattutto della chitarra elettrica) il suo punto di forza.
Con un altro titolo inconsueto, “Sempre e ovunque oltre il sogno”, i Pandora sono così giunti alla seconda prova con l’obiettivo minimo di confermare le qualità del primo album. A mio avviso l’obiettivo è stato raggiunto e superato, dato l’evidente passo avanti rispetto a “Dramma di un poeta ubriaco”, almeno per quanto riguarda gli arrangiamenti, decisamente meno scarni, e la qualità generale delle composizioni.
Il disco inizia con un brano orchestrale, “Il re degli scemi”, scritto da Claudio Colombo e da lui interamente suonato alle tastiere e alle percussioni. L’andamento epico, quasi da colonna sonora, introduce efficacemente il resto dell’album, basato interamente su un articolato progressive sinfonico bilanciato tra i suoni di tastiera e la coloritura molto hard della chitarra elettrica, che ogni tanto riesce a far sconfinare il tutto in una sorta di mai invadente prog-metal (con la complicità della ritmica suonata da Claudio Colombo, molto varia e moderna nel suo seminare mitragliate percussive e virtuosismi sui piatti). Affiorano qua e là momenti di sfogo elettronico prodotti dai synth (in “L’incantesimo del druido, brano molto vario e trascinante), altri jazzati (nella breve “L’altare del sacrificio”) e di acustica evocatività (nell’infernale accoppiata di “Discesa attraverso lo Stige” e “Ade, sensazione di paura”, con quest’ultima che dopo l’introduzione riprende temi hard e le cupe atmosfere care ad alcuni gruppi storici italiani come Banco e Balletto di Bronzo, riprendendole in chiave moderna con un risultato ad alta temperatura). Discorso a parte merita “03-02-1974”, la quale non è altro che il racconto dedicato ai magici ricordi di un concerto dei Genesis, presi a modello anche per realizzare la composizione. Si tratta di un omaggio dunque, che nonostante le citazioni rimandanti a “The Knife”, “Cinema Show” e “Supper’s Ready”, riesce a brillare di luce propria e contemporaneamente a restituire nel testo le emozioni provate durante il concerto. “La formula finale di Chad-Bat” riprende le linee melodiche di “L’incantesimo del druido” e ci introduce ai ventitrè minuti di “Sempre e ovunque”, suite che suona come una dichiarazione di intenti tramite la quale i quattro Pandora (ridotti recentemente a trio a causa dell’abbandono, dopo il completamento dell’album, del chitarrista Christian Dimasi) vogliono manifestare il proprio modo di fare musica. E così abbiamo l’introduzione orchestrale, la melodia, le atmosfere cupe, i suoni pesanti della chitarra, quelli acustici, gli intermezzi jazzati, i cambi di tempo, l’epicità e la varietà. Quest’ultima forse è eccessiva e rende un po’ ostica l’individuazione di un filo conduttore nell’orgia strumentale, conferendo a “Sempre e ovunque” il primato di brano di più difficile ascolto del disco, complici anche le parti vocali, qui più deboli della media.
Non ci sono grossi difetti in “Sempre e ovunque oltre il sogno”. Puntando la sua forza sulle ricche parti strumentali, l’album soffre leggermente una prestazione vocale non all’altezza, non particolarmente ispirata ma tutto sommato adatta al genere. Anche l’originalità non è il punto forte, nonostante lo sforzo per distaccarsi dai manierismi progressivi. Il resto, per usare un eufemismo, è tutto grasso che cola, e non piacerà solamente a chi non gradisce i suoni troppo sinfonici. Se poi aggiungiamo una veste grafica curata, con la riproduzione di opere d’arte ispirate ai brani, e una produzione discreta, possiamo tranquillamente affermare che i Pandora hanno colto nel segno ancora una volta.


Bookmark and Share

 

Nicola Sulas

Collegamenti ad altre recensioni

PANDORA Dramma di un poeta ubriaco 2008 
PANDORA Ten years like in a magic dream 2016 

Italian
English