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PANZERPAPPA Pestrottedans AltrOck 2016 NOR

Passano gli anni anche per quei matterelli dei Panzerpappa che, ridendo e scherzando, giungono al loro sesto album in studio a sedici anni di distanza dall'esordio “Passer Gullfisk”, pubblicato appunto nel 2000. Forse per il titolo che sta ad indicare la simpatica danza dei ratti vettori della peste, l'andamento di questo disco è piuttosto vivace e marziale, squadrato e diretto, più in sintonia coi lavori remoti che coi più prossimi a noi in linea temporale. Perse tutte quelle connotazioni orchestrali e cameristiche ma anche Canterburyane che persistono solamente in piccole tracce, come dimostrato anche dalla contrazione del parco strumenti a disposizione (nessuno suona gli ottoni, viene fra l'altro specificato nero su bianco), il gruppo ha sviluppato, in modo comunque non difforme rispetto alle sue abitudini, una serie di idee musicali accumulatesi via via nel tempo, dando origine ad un'opera stilisticamente piuttosto coerente ma allo stesso tempo effervescente. Si segnala l'ingresso in pianta stabile del tastierista Hans-Petter Alfredsen (già ospite in una traccia del precedente “Astromalist”) ad arricchire un sound che altrimenti sarebbe risultato forse troppo essenziale.
La base ritmica insistente e regolare di “Spådom” accompagna le ripetute variazioni su un tema musicale accattivante e geometrico. La cadenza del metro e le piccole oscillazioni della melodia attorno allo stesso asse rendono il brano scorrevole e diretto, delineando perfettamente quell'ideologia di avanguardia dal volto umano che ha sempre contraddistinto questa band. Più serrata e festosa si configura la buffa title track, sempre decisa nei suoi schemi ritmici e abbastanza bizzarra da poter essere assimilata a qualcosa del repertorio dei vecchi Samla. Concentratevi un secondo e non sarà difficile per voi immaginare la danza dei pestiferi roditori. Un grazioso aneddoto accompagna la stesura di questo brano che Trond Gjellum (batteria, percussioni e synth) ha voluto dedicare alla moglie che, ammalatasi al ritorno da un viaggio in Marocco, sembrava presentare, almeno basandosi su quanto si può reperire in rete, tutti i sintomi della peste bubbonica. “Barkus I Vinterland” era stato pensato in origine per il precedente album anche se la melodia principale risale addirittura alle prime produzioni del gruppo. Proprio attorno al principale tema musicale ruota tutto il brano che si basa sull'alternanza di moduli regolari in una formula quasi ballabile, ai confini del Tango e della Bossa Nova, impreziosita dalla intrigante fisarmonica dell'ospite Elaine DeFalco. “Fundal” si basa sul brano “Ritornello al contrario” del compositore finlandese Karsten Fundal che la band affrontò per la prima volta nel 2003, portandone avanti la gestazione per diversi anni. I ritmi si fanno spezzettati, almeno all'inizio, e le atmosfere sono buie ed avvolgenti, dominate dalla Moog Guitar di Nina Hagen Kaldhol, altra ospite, presente in questo unico pezzo. Con “Tredje Malist” riemergono atmosfere dilatate e intrise di una cupa poesia dai riflessi sinfonici, qui “Malist” sta ad indicare qualcuno che suona con le mazzette del marimba e in effetti il brano è ricco di pattern percussivi minimalisti e ripetitivi. Anche questo pezzo, così come il successivo “Landsbysllander3”, vivace, spezzettato e imbevuto di riferimenti Crimsoniani, si basa su idee che risalgono all'epoca dell'esordio discografico. La conclusiva “Goda' Gomorrah” era stata invece pensata come appendice di un brano contenuto in “Astromalist” intitolato “Satam” e presenta uno stile noir piuttosto orrorifico, forse un po' inusuale rispetto al mood complessivo dell'opera.
L'insistere su piccoli particolari, il ripetersi regolare di schemi ritmici, le piccole variazioni su un medesimo tema, il rincorrere poche e chiare idee in un'atmosfera generale surreale e grottesca sono tutti elementi che ricorrono in questo album che dà un'idea complessiva di semplicità ed affabilità, pur mantenendosi all'interno degli indeterminati confini del RIO. Non ci sono sorprese rispetto al passato della band che viene perfettamente riassunto in questo disco che manca forse un po' in intensità ma che in definitiva si assesta su una media buona. Forse il peccato originale dei Panzerpappa è quello di aver pubblicato un album come “Koralrevens klagesang” che ho amato in modo particolare e mi rendo conto che forse si è trattato di una parentesi che non si ripeterà in un percorso musicale tortuoso ma indirizzato altrove. Non mi pare il caso di penalizzare il gruppo per le sue scelte musicali, se quindi avete confidenza col suo repertorio direi che vi ritroverete comodi come nel vostro paio di scarpe da ginnastica preferite. Se non conoscete i Panzerpappa, fare la conoscenza con loro iniziando da qui lo reputo comunque appropriato.



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Jessica Attene

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