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FERNANDO PERDOMO Out to sea 3 - The storm Forward Motion Records 2020 USA

Continua a veleggiare senza sosta l’imbarcazione musicale di Fernando Perdomo, alle prese con “Out to sea 3 - The storm”, terza parte della trilogia (sino ad ora, almeno) composta dal polistrumentista americano. La copertina, come nelle due precedenti occasioni, è affidata a Paul Whitehead (“Trespass”, “Nursery Crime”, “Foxtrot”…) e rappresenta una barca che sta per essere investita da un’onda gigantesca come , a ondate, è la musica di Perdomo.
L’album è suddiviso in 11 tracce tutte piuttosto brevi con la sola “The storm” a sfiorare i sei minuti. L’artista americano ha fatto tutto da solo, se si eccettua la presenza di Cyndi Trissel agli ottoni in un paio di pezzi; pur essendo un valido polistrumentista, è la chitarra il suo “attrezzo” preferito ed è su di essa che sono basate principalmente le composizioni dell’album. “Out to sea 3 theme”, che apre la raccolta, è uno dei brani più convincenti: prog romantico nella migliore tradizione Genesis, periodo “Wind & Wuthering”, come del resto la successiva “Wonder” il cui utilizzo della chitarra rimanda pure a Jan Akkerman (Focus), un altro degli eroi del nostro. Classe e gusto pure per “The storm” in cui Perdomo lavora di cesello con chitarre acustiche e classiche che accompagnano tenue tastiere di raccordo. “Con “The great known” si entra in ambito fusion , per un brano davvero raffinato. Di tutt’altro linguaggio è “Frenzy” che va ad esplorare territori più heavy con sferzanti riff di chitarra elettrica. La funkeggiante “The UFO club” è l’ennesima prova dell’apertura “mentale” e musicale di Perdomo. “Doom is often loud” si confronta con i riff ossessivi dei Crimson del periodo con Wetton, mentre la conclusiva “Dawn” è un breve bozzetto acustico, un po’ la “sua” “Horizons”, esagerando un poco.
“Out of sea 3-The storm” è, come al solito, nelle esperienze solistiche di Perdomo, un lavoro poliedrico, ricco di sfaccettature e di contaminazioni che evidenziano le capacità “di scrittura” e di esecuzione dell’artista americano. Certamente non tutti i brani sono dello stesso livello e qualche piccola caduta di tono si avverte (un album completamente strumentale è già una sfida non da poco) ma nel complesso abbiamo ascoltato un discreto album. Chissà se il nostro continuerà con questa esperienza “intima” ed in completa autonomia o preferirà dedicarsi a progetti più completi con altri musicisti che possano allargare lo spettro sonoro, già comunque ricco. Vedremo.



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Valentino Butti

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