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RING OF MYTH Unbound Kinesis 1996 USA

I Ring Of Myth sono il più classico esempio di gruppo ispirato agli stereotipi della tradizione progressiva: cover del disco in forma di opera d'arte, elementi fantastici che ne condizionano sia la componente iconografica che quella testuale, evidentissime fonti di ispirazione rintracciabili nei maestri dell'art-rock dei Settanta. Di fronte a tali caratteristiche i lettori di questo articolo si saranno probabilmente divisi in due categorie: quelli che, stimolati e con le antenne dritte, proseguiranno nella lettura per saperne di più su questo terzetto californiano, e quelli che, invece, si saranno già rifiutati di spingersi oltre, poco interessati a leggere una recensione che avrà per loro il sapore del piatto del giorno prima. E' dunque per soddisfare la curiosità degli appartenenti alla prima specie che andiamo ad illustrare più dettagliatamente i connotati fondamentali dell'album di esordio dei ROM, citando subito la più palese delle influenze che grava sul lavoro in oggetto; un'influenza alla quale anche il recensore più imbranato non avrebbe difficoltà ad assegnare il nome di Yes. Se tale evidente punto di riferimento marchia indelebilmente le componenti più immediatamente avvertibili della musica del terzetto, ossia le linee melodiche e vocali, nemmeno le parti strumentali ne sono esenti, con alcuni spunti nei quali individuare le fonti di ispirazione è davvero un gioco da ragazzi (si vedano ad esempio l'intro di "Messenger", che si fa fatica a distinguere da "Heart of the sunrise", o la suite finale "Eyes on the hemisphere"). Al fine di apportare qualche variazione ad un quadro che altrimenti apparirebbe eccessivamente derivativo, i ROM hanno comunque pensato bene di introdurre alcuni elementi estranei, quali ad esempio le partiture da hard-rock stile primi Rush di "Presence", o gli strumentali d'atmosfera di "Liquid dream cascade". In un contesto simile non dispiace, infine, che il suono assuma (volontariamente o no) contorni non ben definiti, in omaggio forse all'artigianalità di certe produzioni anni settanta o forse anche all'attuale trend Io-fi (termine che ha fatto diventare di moda le produzioni realizzate con due lire... e poi ditemi che i discografici non sono svegli...) che ancora trova numerosi sostenitori in America. Inutile dire che gli interessati avranno già capito che questo CD è pane per i loro denti.

 

Riccardo Maranghi

Collegamenti ad altre recensioni

RING OF MYTH Weeds 2005 

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