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RATIONAL DIET On phenomena and existences AltrOck 2010 BLR

Chiedersi se sia meglio “At Work”, la precedente opera dei bielorussi Rational Diet, o questo nuovo “On Phenomena and Existences” è un po’ come chiedersi se sia più bello il rubino o lo smeraldo. Sono pur sempre pietre preziose e anche se il rubino è quotato di più rispetto allo smeraldo ci sarà sempre chi preferisce i colori freddi di quest’ultimo a quelli caldi ed intensi del primo. Si tratta di particolari e sfumature, di sensibilità personale, tutto qui. L’importante è che questa band sia tornata, dopo gli impegni che la hanno portata a suonare in giro per l’Europa e anche nel nostro paese, con un nuovo album di ottima fattura, decisamente all’altezza delle sue possibilità e che si rivela quindi assai appetibile, se non imperdibile, per tutti gli appassionati di avant-chamber prog.
I Rational Diet in questo momento sono come un fiume in piena, dimostrano di avere tantissime idee e una energia creativa davvero dirompente ed ascoltandoli sembra quasi che la musica sgorghi vigorosamente e spontaneamente direttamente dalla loro immaginazione. Il punto di partenza è senza dubbio il precedente album, “At Work”, di cui viene riproposta la formula e le muse ispiratrici sono ancora i grandi compositori classici del Novecento, primi fra tutti Šostakovič e Stravinskij, dei quali vengono incarnate le vivaci esplosioni di suoni e di ritmi. Mentre fra gli artisti avant prog non posso fare altro che citare nuovamente U Totem, Henry Cow ed Univers Zero anche se i Rational Diet, è bene ricordarlo, hanno una personalità tutta loro.
Un ruolo di primissimo piano è senza dubbio quello degli archi, con il violoncello di Anna Ovchinnikova ma soprattutto con il violino di Cyrill Christya (compositore della maggior parte dei pezzi) che incessantemente guida le fila del discorso musicale. Ma l’insieme musicale non si sviluppa certamente in una sola dimensione e gli intrecci sono davvero complessi ed accavallati, con i musicisti che cesellano i minuti ed innumerevoli particolari con maestria e sentimento. Ci si può perdere in ogni piccolo dettaglio ma il quadro di insieme non viene mai ad alterarsi e la lettura del’opera può avvenire in questa maniera su molteplici piani. E’ meraviglioso il lavoro di Olga Podgaiskaja al piano, la maniera in cui rincorre e riecheggia le note del violino, con il suo tocco martellante ed insistente, con il suo incessante lavorio che emerge in tutta la sua bellezza, in particolare quando gli altri strumenti si diradano, come un fondo marino ricco di coralli visibile solo in trasparenza che affiora in tutto il suo fascino quando le acque si ritirano. Ascoltatelo su “Living the Main Life” ad esempio, mentre l’orecchio è “distratto” dagli archi taglienti, lui si agita nelle retrovie dando un piacevole movimento alla musica. L’intervento degli strumenti elettrici, ed in particolare quello della chitarra, è molto limitato e viene usato qua e là solo per dare i giusti contrasti, senza appesantire troppo la musica. E poi, come di consueto, c’è il fagotto di Vitaly Appow, a suo modo goffo ed intrigante, che riscalda un sound a tinte fredde e taglienti, come il gelo quasi soprannaturale dei lunghi inverni delle steppe. E’ altrettanto mirabile il modo in cui la sezione ritmica entra nello spartito, non limitandosi certamente a dare un ritmo che in fin dei conti non servirebbe di per sé ad una vera e propria orchestra da camera, ma offrendo soprattutto il proprio apporto timbrico e musicale, come uno scheletro ben snodato che sostiene e rende possibili i movimenti di un corpo che danza. Altrettanto belli sono i momenti in cui la tensione rallenta e la musica respira, come nella parte centrale di “A Man Went to Sleep”, che tra l’altro è uno dei tre pezzi che presenta parti cantate, in cui possiamo quindi ammirare la bella voce di Olga Podkaiskaja.
Tante parole sicuramente non dicono nulla di nuovo a chi conosce questo gruppo ma invito comunque tutti coloro che amano la musica colta e complessa a provare questa esperienza di ascolto. La musica fluisce in quest’opera in maniera naturale, nient’affatto pretenziosa né forzata, in un insieme sonoro non astruso né eccessivamente astratto ma comunque intellegibile, dotato di una sua coerenza melodica e soprattutto godibile per qualsiasi orecchio che sia in grado di apprezzarne la complessità.


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Jessica Attene

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