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ARTURO STALTERI ...E il pavone parlò alla luna Lynx 1987 (M.P. Records 2004) ITA

Dopo un lungo periodo di irreperibilità sul mercato discografico, torna finalmente disponibile "... E Il Pavone Parlò Alla Luna", l'opera seconda di Arturo Stalteri che, all'epoca, ebbe una gestazione parecchio diluita nel tempo: le registrazioni risalgono al 1980-81, il missaggio all'83, mentre per vederne la stampa su LP si dovette attendere il 1987.
"Certo è un disco nato in un momento particolare (due mesi in India lasciano il segno!)": in questa confidenza che mi ha fatto lo stesso Stalteri è racchiusa al meglio la peculiarità del lavoro, che più di altre creazioni del pianista romano pare concedere molto a tematiche sonore orientali, beninteso filtrate attraverso l'impareggiabile sensibilità del Nostro. La breve, ma già significativa intro di "Morceau", prelude ai 17 minuti di "Raga Occidentale", dove fin dal titolo è espressa la compenetrazione fra stilemi nostrani e fragranze levantine: su un tappeto di harmonium indiano, con sottofondo di tabla, il pianoforte declama minimalismi contemporanei che via via si tramutano in trame schizoidi, quasi improvvisate. Stalteri sembra dunque alla ricerca della Verità, musicale e non; questa ansia conoscitiva può dunque esprimersi in forma urgente e tumultuosa, e altresì placarsi, risolversi in serenità e compostezza, come si rileva nella tenue batteria elettronica della seconda parte, su cui ricama il flauto dell'ospite Dante Majorana: tale gioco interiore è esemplificato dalle due poesie riportate sul digipack, scritte appunto in India. Geniale è l'ambient di "Goa Di Fronte All'Oceano", con essenziali giri di organo assai prossimi alle atmosfere di Roedelius: qui pare aprirsi lo stupore, fors'anche la gioia al cospetto delle meraviglie del Creato; altra traccia acquatica è poi "La Pescatrice di Perle", contrassegnata dai liquidi ondeggiamenti del Farfisa e dell'Arp Solus che placano lo spirito. L'unico vero frangente in cui viene concesso spazio alla melodia, nell'accezione dell'orecchiabilità e della cantabilità, è posto in fondo al disco: l'organo e la chitarra acustica di "Nel Palazzo Dei Venti" edificano un insieme a suo modo sontuoso, epico e solenne.
Di tutto l'iter discografico di Stalteri, questo è forse il passaggio più ostico, che necessita di svariati ascolti e immedesimazioni interiori per essere compreso e assimilato appieno. Ma una volta penetratone l'esclusivo universo, non si potrà che rimanere soddisfatti.

 

Francesco Fabbri

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