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SOLSTICE Light up Giant Electric Pea 2023 UK

Ci sono dei punti fermi nella carriera ormai quarantennale (e con non poche pause) dei Solstice. Il primo è rappresentato dalla figura carismatica di Andy Glass, chitarrista e compositore che continua a guidare e a portare avanti il gruppo con grande entusiasmo. E poi ci sono alcune caratteristiche della musica proposta, che fin dagli esordi negli anni ’80 mostra alcune peculiarità che li distacca un po’ dai classici coetanei dediti al new-prog. La voce femminile e l’uso del violino che spinge verso territori folk, infatti, sono elementi che non sono mai mancati con lo scorrere del tempo, nonostante i numerosi cambi di formazione. Dopo l’ultimo assestamento avvenuto con “Sia”, pubblicato nel 2020 e di cui ci siamo già occupati, la nuova line-up si è mantenuta stabile ed ecco che, dopo nemmeno tre anni, Glass e soci sono pronti con un nuovo lavoro, con tempistiche tutt’altro che usuali per la band. “Light up” appare la più naturale prosecuzione di quanto offerto dal suo predecessore, a partire dalla presentazione grafica e proseguendo con l’aspetto musicale.
L’album sembra quasi diviso in due parti, con i primi tre brani molto solari e i successivi tre più riflessivi. Si tratta comunque di sei composizioni che sono una perfetta istantanea dei Solstice oggi. Un gruppo che si è saputo evolvere, che è in forma e in piena maturità e che ha saputo adeguare le caratteristiche della propria musica, trovando nuovi orizzonti senza mai abbandonare le proprie origini. La title-track apre con un pop-prog gioioso, che scatena la sua positività fin dalle prime note e dalle prime strofe cantate (“Let the morning in / and the day begin / wash the night away”). Si tratta di un pezzo diretto, ma dalla costruzione brillante, che prevede anche una breve ed efficacissima parentesi dai tratti acustici. A seguire troviamo “Wongle No9”, che ha un groove intrigante anche grazie al basso in bella evidenza ed è articolata tra melodia, spruzzate funky della chitarra e il romanticismo più classico della band. Un riff di violino che presenta un tema da danza celtica, invece, è alla base della vivacissima “Mount Ephraim”, che si sviluppa tra parti cantate non scontate e magistrali intrecci strumentali, che permettono ai musicisti di mostrare la loro abilità in un prog sinfonico d’altissima scuola. Il cambio di rotta lo dà “Run”, che porta alla mente gli splendidi Paatos di “Kallocain”, con una batteria elettronica non invadente a dettare ritmi compassati ed una vena malinconica rafforzata dall’incantevole interpretazione della cantante Jess Holland. “Home”, invece, si svolge attraverso melodie ariose ed una verve vagamente cameliana. A concludere ci sono gli oltre dieci minuti di “Bulbul tarang”, il cui titolo non è altro che un riferimento allo strumento a corde tipico della regione del Punjab in India che Glass suona per l’occasione. Questa composizione è molto suggestiva e, nonostante un forte aspetto meditativo, è carica di vibrazioni positive (si torna sempre a questi termini), per merito delle belle dinamiche e di un magnetismo un po’ floydiano che crea un’atmosfera particolare. Anche stavolta l’abilità compositiva di Glass permette di trovare perfetti equilibri tra gli elementi prog che sono alla base del sound proposto dal sestetto e melodie colme di fascino che rimangono immediatamente impresse nella mente.
Il sodalizio con Jess Holland sembra funzionare alla grande; d’altronde lo stesso Glass non ha mai fatto mistero che l’entrata della vocalist si è mostrata fondamentale nel dare nuova vitalità al gruppo, sia in studio che dal vivo e i risultati sono ora più che mai sotto gli occhi di tutti. Forse la sua creatura non è mai stata in forma così smagliante come oggi. I fortunati presenti al festival di Veruno del 2022, che ha segnato una tappa italiana per i Solstice, hanno potuto constatare in prima persona, testimoni di una magnifica esibizione, il pieno affiatamento della band e la sua capacità di coinvolgere ed emozionare. Andy Glass è il simbolo, è la guida, ma è un leader che non accentra su di sé le attenzioni. I suoi momenti solistici sono solo una delle tante attrattive del gruppo, visto che lascia ampio spazio anche agli altri musicisti. Il focus passa continuamente da un elemento all’altro del gruppo, favorendo interazioni che fanno risaltare il lavoro di squadra. Può sembrare strano vista la forte componente melodica, eppure i tre quarti d’ora di “Light up” hanno bisogno di ripetuti e attenti ascolti per cogliere tutte le sfumature che offrono. A favorire l’ottima riuscita dell’album c’è anche una brillante produzione, perfettamente adatta allo spirito dei brani.



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Peppe Di Spirito

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