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THE TANGENT Down and out in Paris and London Inside Out 2009 UK

“The Tangent is a progressive rock band”. La frase è stampata nella copertina interna dell’ultimo album dei superstiti di quello che sette anni fa è nato come un progetto solista di Andy Tillison, per poi trasformarsi in una sorta di supergruppo che univa epoche e paesi nel nome di un prog spesso scontato, ma che ha saputo catalizzare e mantenere l’attenzione dei fans tanto da far si che la band sia diventata nel corso degli anni qualcosa di più di un side-project e di un incontro tra amici che suonano insieme.
The Tangent è sembrato da subito, a giudizio di chi scrive, qualcosa di più della semplice somma delle parti che hanno costituito il progetto. Scontata ma non troppo, manieristica ma non all’eccesso, retrò ma non ammuffita, la band è riuscita a produrre buoni lavori di prog tradizionale pescanti a piene mani dal passato, spesso mescolando i generi in maniera plateale e dichiarata, andando però oltre la stucchevole rappresentazione del genere proposta da gruppi come Flower Kings, metà dei quali sono stati coinvolti nel progetto in passato, e Spock’s Beard.
“Down and out in Paris and London” è il quinto album in studio dei Tangent, i quali arrivano al traguardo dopo vari cambi di formazione che hanno portato gradualmente ad uno sfoltimento degli elementi ed alla scomparsa della parte svedese del gruppo (costituita, nel passato più recente, anche da membri dei Beardfish). Questo è, infatti, il primo album totalmente “inglese” della band, che vede l’ingresso in formazione di Jonathan Barret al basso e Paul Burgess alla batteria, quest’ultimo con trascorsi in 10cc, Jethro Tull e Camel. Nonostante dei membri originali rimangano solo Andy Tillison e Guy Manning, il sound del nuovo album non si discosta significativamente dei precedenti, mantenendo una certa omogeneità di stile data dal fatto che il principale compositore delle musiche è sempre il tastierista dei Parallel or 90 Degrees. La musica creata da Tillison (che in questo caso si dedica anche alle chitarre elettriche) mantiene il suono Tangent anche in questo disco, si presenta melodica e sinfonica con influenze a volte jazzate-canterburyane, a volte quasi pop, con una leggera vena malinconica presente in tutti i brani e una collezione di riferimenti al sound di grandi gruppi del passato. I brani hanno una lunghezza media elevata, a partire dall’iniziale “Where are they now”, con un bel riff introduttivo e uno svolgimento nel quale si potrebbe letteralmente giocare a riconoscere il riferimento o la citazione storica, tra echi di Pink Floyd, Genesis, Yes e Van der Graaf Generator, nonché Caravan, Camel e Hatfield and the North, a costruire un pezzo che sembra un riassunto della storia del prog. Ritmiche in parte elettroniche e un andamento in stile blueseggiante in “Paroxetine-20mg”, con i Pink Floyd di metà anni ’70 a fare da padri spirituali e il sassofono di Theo Travis protagonista. Le atmosfere malinconiche di “Perdu dans Paris” e i suoni acustici (solo inizialmente) di “The Company Car” precedono una traccia bonus dedicata a Rick Wright, la cui ispirazione floydiana è fin troppo scontata, mentre il disco si chiude con “The Canterbury Sequence Volume 2 - Ethanol Hat Nail”, gradevole brano che però non riesce probabilmente nel tentativo di eguagliare il pezzo presente nel primo album del gruppo (nella quale era però presente anche un estratto da “Chaos at the greasy spoon” degli Hatfield and the North), non avendo la stessa carica ironica né l’andamento scanzonato.
Tirando le somme, I Tangent hanno fatto il loro dovere, come in precedenza, producendo un altro album per nostalgici inguaribili, accontentando coloro che vivono il progressive rock tenendolo ancorato al passato ed evitando troppe innovazioni e la sperimentazione. Visti i risultati positivi, una critica in questo senso è inutile. Ciò che i fans cercano nel gruppo di Andy Tillison è, infatti, proprio questo, perciò non resteranno delusi dal nuovo album.


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Nicola Sulas

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