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THE TANGENT Comm Inside Out 2011 UK

Avete presente i vecchi film di fantascienza? Intendo quelli basati su rappresentazioni futuribili degli anni a venire, ritratti con gran profusione di aggeggi tecnologici, luci pulsanti, rumori di sottofondo in stile blip-blip, abiti e acconciature improbabili. Erano film che in fondo rispecchiavano l’epoca in cui furono creati, non il futuro che cercavano di prevedere, esattamente come la letteratura fantascientifica degli anni ’40 e ’50, permeata del “sense of wonder” verso le aspettative ottimistiche che vedevano la tecnologia come la soluzione di tutti i mali del mondo. Che c’entra questo con il nuovo album dei Tangent? Ecco, l’impressione che ho avuto ascoltando “Comm” è stata simile a quella che provo di solito guardando uno di questi film. Ho pensato ai Tangent come ad un gruppo di rock progressivo degli anni ’70 dedito a suonare e scrivere musica futuribile, come se loro stessi immaginassero di essere in realtà una band in attività nel nuovo millennio inoltrato da tempo. Se la situazione fosse veramente questa, io ora ascolterei l’album con un sincero senso di ammirazione e di fascino (i vecchi film di fantascienza mi provocano queste sensazioni) per la fervida ma ingenua fantasia dimostrata dai componenti della band nel realizzarlo.
La realtà è, ovviamente, capovolta. Chi conosce i Tangent, sa che si può descrivere il loro stile come quello di una band moderna che si sforza in tutti i modi di sembrare retrò. In sei album e attraverso innumerevoli cambi di formazione, Andy Tillison ed i suoi colleghi non hanno fatto altro che andare alla caccia di temi e sonorità da schiaffare nel proprio robot da cucina musicale per produrre un frullato (quasi) perfetto di sinfo-jazz-heavy-canterbury-space-electronic-rock progressivo, quasi una versione sonora della Teoria della Grande Unificazione della fisica. Se credete però che il nuovo album abbia portato novità eclatanti in questa formula, smettete pure di leggere.
“Comm” è esattamente quello che ci si aspetta da un album dei Tangent, anche se in realtà qualche novità c’è. Nel marasma dell’ennesimo cambio di formazione spunta fuori un chitarrista solista di ruolo (nel precedente “Down and out in Paris and London” era lo stesso Tillison ad occuparsi della sei corde), molto giovane e dotato di uno stile moderno che si ispira chiaramente a virtuosi come Vai, Petrucci e Holdsworth. La differenza col passato, in questo caso si sente: accanto ai soliti suoni di hammond, moog, synth vari, flauti e sassofoni, la chitarra di Luke Machine spicca con i suoi assoli straripanti riuscendo a restare dentro i binari del gusto e della misura, evitando l’esibizione pura e mantenendo una coerenza di fondo con la musica, complice anche una scelta di suoni che privilegia una distorsione naturale e non eccessiva.
La musica è, come al solito, di buona qualità. Ci sono i brani lunghi, con la suite di almeno venti minuti che non può mancare in un album dei Tangent (“The Wiki Man”, la cui struttura, manco a dirlo, è varia da far perdere la testa), c’è una brano serrato che sembra fondere insieme Van der Graaf Generator, King Crimson, EL&P e il jazz (“The Mind’s Eye”), una traccia leggera e malinconica in salsa floydiana (“Shoot Them Down”), il solito brano canterburiano (ben riuscito e divertente, se non vi crea problemi ascoltare un pezzo intitolato “Il tizio del supporto tecnico”) e la traccia finale che rimescola un po’ il tutto (“Titanic Calls Carpathia”, altra mini-suite di oltre un quarto d’ora). Come ogni album dei Tangent che rispetti, non mancano le bonus track, consistenti questa volta nell’originale traccia di base per il progetto “Comm”, chiaramente ispirata ai Rush, e una cover di “Watcher of the skies”.
Il tutto è come al solito suonato magnificamente, iperarrangiato e scritto in modo tale da permettere a chi ascolta di non smarrirsi tra le complicate strutture dei brani. C’è la solita voce di Andy Tillison, poco espressiva ma stranamente rassicurante e piacevole nella sua piattezza timbrica e nella scarsa estensione; c’è la grafica curatissima della confezione, con i colori dell’artwork di Ed Unitsky, e c’è il concept, a cui Tillison sembra attribuire molta importanza. Il tema di fondo è il cambiamento operato da internet e dalla tecnologia informatica nella comunicazione (ma quanto è incongruo il suono del vecchio modem analogico che si sente all’inizio dell’album), nella diffusione delle informazioni e, ovviamente, nella diffusione della musica, “rubata ai musicisti che rubano il software” (parole di Andy Tillison). Si avverte nelle liriche il rimpianto per i tempi in cui bisognava faticare per cercare le risposte, quando non tutti potevano diventare in tempo reale giornalisti, rock star, discografici, eroi e celebrità, quando la democrazia permetteva di scegliere un leader, mentre ora si abbattono i governi su facebook senza crearne di nuovi a sostituire i vecchi. In fondo, il tema principale non è quello più evidente, il passare del tempo e la capacità di adeguarsi alle novità rappresentano ciò che si cela veramente dietro a “Comm”; d'altronde, anche i Tangent, con la loro musica fortemente ancorata al passato, hanno la loro pagina su Wikipedia.



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Nicola Sulas

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