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TOXIC SMILE |
Farewell |
Progressive Promotion Records |
2015 |
GER |
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Sarà questa la volta buona in cui si possa parlare, almeno in parte, di metal-prog e non di prog-metal? Beh, vediamo di riassumere le idee. Se si volesse inserire nel conteggio complessivo anche un EP, questo “Farewell” dovrebbe essere il quinto lavoro della band teutonica, i cui componenti – soprattutto il tastierista Marek Arnold – sono spesso impegnati anche con altre compagini tipo i Seven Steps To The Green Door e i Flaming Row. Esattamente come i gruppi connazionali appena citati, i cinque musicisti si danno alla composizione di storie molto complesse. In questo caso si tratta di un concept in cui si decide di scendere nella profondità della realtà vissuta, di non accontentarsi di grattare solo la patina superficiale; per far ciò, si arriva alla conclusione che il senso dell’udito deve prevalere su quello della vista, perché solo così le sensazioni potranno essere vissute fino in fondo, nella loro celata essenza, non correndo il rischio di rimanere ancora una volta fuorviati dalle immagini che ci vengono propinate in maniera forzata durante lo scorrere quotidiano. E tutto questo viene raccontato… in un’unica traccia di quarantadue minuti. Inoltre, vi sono molti spunti durante l’arco del lungo brano che fanno pensare ai Genesis ed ai loro vari emulatori che tanto hanno fatto fortuna soprattutto col così detto neo-prog. Il cantante Larry B., in precedenza, aveva più volte messo in mostra una timbrica che si rifacesse proprio alle soluzioni vocali del gruppo inglese; qui non fa distinzione e anzi, più si va avanti nel minutaggio, maggiori diventano le similitudini con il trasformismo di Peter Gabriel. Di certo il vocalist tedesco presenta una maggiore estensione e questo magari sarà per i detrattori una scusa per dire che ciò va a scapito dell’espressività del modello originale… Paradossi inestricabili in cui riescono a muoversi solo ed esclusivamente i veri “esperti” del settore! Detto questo, i riff pesanti e le metriche sono inequivocabilmente metal. Da qui non si scappa. Soprattutto all’inizio, il basso in evidenza dell’ottimo Robert Brenner – peraltro autore anche del dipinto in copertina, “The sleeping elf” – riconduce con i suoi controtempi ad un altro gruppo di illustri connazionali: i Sieges Even (non certo quelli più thrashy degli esordi, comunque). Un prog-metal quindi abbastanza di ricerca, che grazie anche al batterista Robert Eisfeldt riesce a ricordare vagamente l’eccellente asse ritmico formato dai fratelli Holzwarth. C’è poi da aggiungere che stavolta il gruppo si avvale di una sezione d’archi di primo livello, coinvolgendo quattro componenti del Concerto Bellotto di Dresda. Anche questo appare come un deciso riferimento alle radici prog, quello più sinfonico, perché le partiture eseguite non rispecchiano certo la drammatica epicità (tanto amata da alcuni quanto odiata da altri) della musica metal che solitamente viene estrinsecata in questi casi. È più che altro un accompagnamento altamente professionale, che riempie i contorni dell’esecuzione. Esecuzione che qua e là presenta dei cambi inaspettati, come quello che avviene intorno al ventiquattresimo minuto, con uno stacco in chiave soul e funky. Ma se proprio si vogliono citare i minuti, si potrebbe parlare del quindicesimo, del diciottesimo, magari del ventiduesimo… Si capisce bene che ciò apparirebbe come la descrizione molto sterile di una composizione che invece, nelle intenzioni del gruppo, andrebbe ascoltata nel suo insieme. E basta.
Qualcuno sostiene che il titolo sarebbe riferito all’addio dato dal chitarrista Uwe Reinholz, il quale, pur suonando sull’album, è poi fuoriuscito dal gruppo. Anche stavolta, al di là di tutto, questi si è mostrato maggiormente impegnato in fase ritmica, pur facendosi apprezzare per un paio di begli assoli. Ma del resto, anche sul precedente “7” (2013) si diceva che i Toxic Smile sembravano fare dell’esecuzione dei controtempi il proprio punto di forza, su cui poi snodare tutta la storia. Per fortuna non si disdegna mai la carta della trovata atipica e quindi si può continuare ad apprezzare il sax di Arnold che fa positivamente capolino. In definitiva, l’unico pezzo presente scorre fino alla fine per oltre quaranta minuti ed il peso non si sente, in quanto è molto variegato e quindi si ha la sensazione di differenti brani legati però dal tema di fondo, che ne fa un unico racconto. Si tratta invece, come detto, di una sola traccia che a questo punto si dimostra ben composta e ben eseguita. I Toxic Smile stanno riuscendo a differenziarsi, anche e soprattutto dai compagni di scuderia. E va sicuramente bene così. La strada sembra davvero essere quella giusta. Speriamo non si smarriscano.
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Michele Merenda
Collegamenti
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