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TREWA Beware the selvadic Mentalchemy Records 2016 ITA

Ho sempre apprezzato le contaminazioni tra il folk ed il rock, specialmente se il punto di partenza è la musica celtica. Per fortuna, gli esempi di questa commistione non mancano dentro e fuori dei labili confini del progressive, oltre ad abbracciare senza alcun problema anche generi come il metal ed il pop. A proporre una nuova versione di questo mix tocca ora ai Trewa di Luca Briccola, già noto per alcuni album realizzati come componente dei Mogador.
Il campo d'azione dei Trewa è senz'altro quello dell'hard rock e del metal, ma nella loro musica non vengono disdegnati i momenti più spiccatamente folk, con qualche influenza progressiva che spunta qua e là. I brani di "Beware the selvadic" sono in genere abbastanza tirati e seguono uno schema collaudato che vede strumenti tradizionali come flauto e violino disegnare linee melodiche sulla tela intessuta dalla chitarra elettrica. L'esempio più evidente è l'iniziale "Skaldic kin", ma una struttura simile accomuna anche "Where the hawks wait ready", "Awakening" e "The woodwose", tutti brani dove l'equilibrio tra l'anima elettrica e quella folk è maggiore. In certi casi, invece, è l'uno o l'altro aspetto a prevalere, così abbiamo brani che virano decisamente verso il metal, come "White sails", che addirittura sconfina nel thrash, "Olaf the stoner" e "Clayton", forse la più eccessiva nei suoi riff suonati in maniera insistente, e altri nei quale prevale la componente folk, come "The soldier's scar", "Sublime selvadic", "The quiet lady" e "A shimmering sword", tutti ben riusciti e piacevoli da ascoltare. La conclusiva "Horizons" è invece un bel brano country-rock-folk-prog dal sapore campagnolo.
Trovo l'esperimento dei Trewa nel complesso riuscito, ma credo che alcune cose avrebbero avuto bisogno di una maggiore limatura. Mi piace l'accostamento tra i suoni duri e quelli acustici e melodici, che di tanto in tanto possono ricordare i Dropkick Murphys (grande band, assolutamente non prog), con la differenza che le atmosfere evocate, invece di essere quelle dei pub dove si tracanna birra e si discute animatamente di politica e sport, richiamano corse a cavallo tra gli alberi, combattimenti all'arma bianca, leggende e mitologie, come pienamente giustificato dalle liriche dei brani. Ho trovato eccessivi alcuni passaggi strumentali nei brani più duri, e nel complesso le parti vocali tendono ad essere un po' troppo monocordi. Questo, d'altronde, può essere dovuto alle caratteristiche proprie della musica celtica, basata spesso sulla ripetizione delle linee melodiche principali. Ritengo che "Beware the selvadic" possa piacere più agli amanti del metal che a quelli del progressive, ma chiunque potrà trovare motivi di interesse. Per chi, in ogni caso, è un estimatore di questo tipo di contaminazioni musicali, il disco è senz'altro consigliato.



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Nicola Sulas

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