|
IL TUSCO |
Degeneratorium |
Andromeda Relix |
2018 |
ITA |
|
Ritorno al passato, in un certo senso, per Diego Tuscano e la sua creatura: sia perché questo disco è stato arcaicamente pubblicato solo in vinile rosso, a tiratura limitatissima di 300 copie (ma ovviamente è disponibile anche in digitale), ma anche per il recupero di alcune sonorità più tradizionalmente Progressive, amore musicale un po’ tralasciato dopo la fine della sua precedente esperienza musicale coi Sannidei, nelle prime uscite con questo suo personale monicker. Questo simpatico dischetto del gruppo guidato dal musicista piemontese, che vede ancora la presenza di Luke Smith alle chitarre e Snooky Chivers alle tastiere, presenta l’ormai consueta miscela di hard rock, blues e psichedelia che avevamo già avuto modo di apprezzare nei lavori precedenti, in una versione però più espansa e dilatata, con atmosfere maggiormente sinfoniche che, appunto, segnano una virata, gradita e molto piacevole, al Progressive rock. E’ proprio la lunga traccia che dà l’avvio all’album, la lunga “Benvenuto nella Macina”, a contraddistinguere questo nuovo corso: una canzone di 13 minuti in cui le sperimentazioni psichedeliche con un cantato incalzante ed interludi strumentali trascinanti nei momenti più tirati ma anche più soffuso a tratti. Le atmosfere hanno infatti momenti più eterei e fumosi che tuttavia non arrestano mai la progressione strumentale del brano, ossessiva come le liriche e con impasti sonori decisamente interessanti ed accattivanti. Interessante anche la scelta di utilizzare due bassi che dona una bella pienezza di suono alla musica, la quale peraltro gode anche di un’ottima registrazione. Le altre canzoni del disco sono più brevi ed ovviamente meno articolate, anche se non mancano momenti di altrettanto valore. “Altro da Me” è una ballad orecchiabile caratterizzata da un bell’assolo di chitarra nella sua parte centrale. “Idee Cattive” ha un che di crimsoniano nelle parti di chitarra ma si risolve in un brano tirato con ritmiche funky fanno capolino ogni tanto ma si danno il cambio con alchimie strumentali più vicine al Prog. “La Distanza” è anch’essa abbastanza lunga e dai suoi (quasi) 9 minuti colano copiosi umori anni ’70, fluidi e fumosi, con le tastiere scatenate a creare atmosfere che non possono non lasciarci indifferenti; forse il brano migliore dell’album. Album che si chiude con la susseguente “Indecidibilità”, morbida e soffusa… un po’ troppo accattivante forse, visto come ci eravamo ormai abituati, ma col consueto assolo di chitarra che risolleva il tutto. Un bell’album, innegabilmente, professionale, ben suonato e ben impinguato di sonorità congeniali a chi ama la musica Prog.
|
Alberto Nucci
Collegamenti
ad altre recensioni |
|