La discografia di questo gruppo a dir poco eccentrico inizia nel 1990 anche se la sua nascita risale al 1985, epoca in cui, a causa della repressione del regime comunista, i gruppi rock, ridotti ad uno stato di semi-clandestinità, non avevano vita facile. Ma dopo la rivoluzione di velluto le cose iniziano a cambiare e la band, prima bandita, si sposta da Teplice, il paesino della Boemia dove viveva, a Praga ed inizia a sfornare album e a suonare in giro per il mondo. Il gruppo è una specie di spugna in grado di assorbire all’istante e poco selettivamente elementi provenienti da ogni corrente musicale e al tempo stesso è come un candelotto di dinamite dall’innesco assai corto, pronto ad esplodere senza troppe cerimonie. Scatenatissimi, disordinati, irriverenti, ribelli, la loro voglia di libertà guida una musica che è un agglomerato di elementi grossolani strappati al punk, al rock, all’avanguardia, al jazz, al folklore e alla musica contemporanea. Questo album è il settimo in studio, anche se il gruppo è stato coinvolto in numerosi progetti multimediali e compare in numerose compilation, senza contare i live su CD e DVD. Rispetto alle origini l’unico elemento costante rimane il cantante, pianista e chitarrista Miroslav Wanek che rappresenta lo spirito grezzo della band, completata da Pepa Červinka al basso e alla voce, Adam Tomášek alla tromba e alla voce, Tomáš Paleta alla batteria e infine dal pittore Martin Velísek ai colori e al pennello che dal vivo potreste ammirare mentre imbratta le sue tele a suon di musica. Attorno a questo nucleo ruota poi una bella serie di ospiti al trombone, al violino, alla chitarra acustica, alla fisarmonica e al contrabbasso. Se conoscete i Plastic People of the Universe, posso dirvi che molta della loro energia sregolata e della loro rabbia la ritroverete qua dentro, anche se gli Už Jsme Doma, la cui importanza in patria si avvicina molto a quella dei leggendari compatrioti, presentano una vena umoristica più marcata ed influenze a dir poco poliedriche. E’ soprattutto il cantato urlato, parlato e assai poco cantato, dell’indisciplinato Miroslav ad avere un impatto molto punk-oriented ed i ritmi serrati e sincopati con le chitarre distorte contribuiscono ad amplificare questo effetto. Questa musica non è soltanto sanguigna ma anche tecnica e versatile, come dimostrano gli intrecci sinfonici, con belle parti di piano e di tromba, incastonati in una matrice che sembra fatta di carta vetrata. L’ironia è un elemento costante, come dimostra subito la buffissima “Droplet” in cui cori, che ricordano in un certo senso vecchie canzoni patriottiche sovietiche, si innestano in un brano dalla carica avvincente che potrebbe quasi ricordare la sigla di un anime giapponese. Schegge di musica contemporanea con trame di piano interessanti e persino solenni fanno da sfondo a scenari grotteschi, con la tromba di Adam che si inserisce in modo buffo nella successiva “Abyss”. La musica degli Už Jsme Doma riesce ad essere al contempo granitica e traballante, come una montagna di pezzi di pietra impilati disordinatamente uno sull’altro che potrebbero rotolare giù con un semplice starnuto. Elementi grossolani si mescolano a raffinatezze inaspettate e sono alleggeriti dall’immancabile goliardia che fa scorrere questo album come una giostra impazzita, fra mille scossoni, ma sempre in maniera spedita. Che c’entreranno mai gli urli ska-punk con una tromba quasi RIO, il folklore slavo con i cori romantici su chitarra arpeggiata che allietano il finale di “Fascination”? Inutile insomma trovare un senso a questo album che sembra fatto per essere ballato in stato di ebbrezza, a volume rigorosamente alto e a cuor leggero e senza alcun spirito analitico. O vi lasciate travolgere da questa valanga oppure fatene proprio a meno. Prendere o lasciare questa ennesima conferma di una band che sa il fatto suo e che difficilmente scenderà a compromessi in futuro.