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ZENIT Surrender SHK Records 2006 SVI

Cinque anni dopo il deludente esordio di "Pravritti", torna la band di Andy Thommen (ex Clepsydra) con un nuovo chitarrista, un nuovo produttore (Etienne Bron, già collaboratore dei Clepsydra stessi), un nuovo album e, se Dio vuole, una nuova attitudine musicale. Tralasciate le canzonette, orecchiabili ma mal tradotte in pratica, dell'album precedente, gli Zenit si fiondano decisamente su un new Prog anch'esso abbastanza orecchiabile ma ben realizzato, con un ottimo apporto di Luigi Biamino, il nuovo chitarrista, che sa far funzionare alla perfezione le proprie armonie all'interno delle 7 canzoni di "Surrender".
L'album parte abbastanza in sordina, con un intro effettistica che sfocia nella prima vera canzone, i 10 minuti e passa di "Yin and Yang", un brano molto altalenante, con poche impennate ma molte pause e momenti d'atmosfera; un avvio davvero strano, anche se non qualitativamente non da disprezzare. Si passa poi alla movimentata e ruffiana "The city", caratterizzata da ritornelli e melodie divertenti; senz'altro un episodio leggero che farà storcere il naso a molti ma che presenta comunque un bell'assolo di chitarra nella fase centrale. Si tratta comunque di una carta che il gruppo si gioca sicuramente meglio che in passato. "Devil's siesta" è un bel brano d'atmosfera, con belle parti di tastiere e un cantato soffuso che prelude a un altro brano dalla ritmica indiavolata come "The cathedral", in stile rock'n'Prog, con un cantato schizzato e ricco di vocalizzi; divertente, a suo modo. Continuando con l'alternanza, è ora la volta di un brano dalle ritmiche calme e più rilassate; "New1c" è un brano che supera i 12 minuti che comunque si mantiene costantemente su ritmiche pacate, acquistando tuttavia col passare dei minuti un'aura misteriosa, con un cantato che si fa sussurrato ed enfatico. La musica talvolta sembra non procedere in maniera sciolta, quasi inciampando in alcuni passaggi; è un peccato perché altrimenti si tratterebbe di un gran bel pezzo, arricchito anche dall'apporto di un sax e di un flauto. Dov'eravamo rimasti? Ah sì… adesso è la volta di un brano veloce. Ecco quindi che tocca a "Promenade II", brano strumentale gradevole che ci intrattiene piacevolmente prima di "I Ching", altro brano veloce (uno strappo alla regola?) con sonorità pseudo-orientali che sfocia però in sonorità inquietanti, con una chitarra che si fa pesante (quasi sabbathiana) e un cantato interpretativo. Un altro breve intermezzo ed è la volta della chiusura, affidata ai 14 minuti della title-track, brano composito in cui sono presenti influenze che esulano dal Prog; una composizione che, a dir la verità, stenta a decollare.
Si tratta dunque di un secondo album decisamente in ascesa, rispetto all'esordio; il new Prog degli Zenit talvolta ripercorre stilemi classici del genere ma non cade nella trappola della sterile riproposizione. Senza dubbio c'è un buon lavoro di songwriting a monte e una buona vena esecutiva (vorrei ripetermi: buono l'apporto del nuovo chitarrista). Il risultato è gradevole, anche se non va oltre certi livelli. E' altresì pacifico che chi disdegna sonorità troppo moderne e soluzioni che spesso si fanno orecchiabili farebbe bene a tenersi lontano da quest'album.

 

Alberto Nucci

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