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L’impatto con il drumming raffinato, preciso e mai scontato di Martin Maheux è una gioia per le orecchie. La sua impostazione jazzistica lo fa distaccare dai concetti più usuali del prog e, in parte, anche dai suoi lavori con gli Spaced Out. L’album in esame è, in effetti, e per la sua quasi totalità un grande album di jazz moderno, dove l’uso delle dissonanze e dei contrappunti viene giocato in maniera mai esagerata. Però l’organico della band è anomalo, jazzisticamente parlando: qui c’è la presenza canonica del contrabbasso e del piano, ma la presenza di un terzetto d’archi (violino, violino alto e violoncello) e di un filicornista, porta le sonorità a potersi contorcere in “anomalie” estremamente progressive, ove, usufruendo del suo senso più modale, si ricerchi una musica che oltre al piacere di suonarla, punti il dito verso sperimentazione e avanguardia, filtrando e mescolando i colori, olio per il jazz, tempere per la classica cameristica, acquerelli per il tocco istrionico di una tromba quasi più zingara e circense che jazz.
La varietà di ascolto che offre questo lavoro è veramente eterogenea, si è detto del Jazz della cameristica, ma abbiamo tracce di Zeuhl francofono, specie della terza traccia “Aller Simple” dove in poco più di 15 minuti, troviamo tutto l’affascinante e complesso mondo che Maheux deve avere in testa e tenta di trasmettere. Poi abbiamo, qui e là, momenti crimsoniani alla Island e Lizard, qualcosa di zappiano e RIO, ma attenzione a non confondere ispirazioni che probabilmente non ci sono, diciamo piuttosto che è nella natura avanguardistica del lavoro propendere verso cose che, già, hanno rappresentato avanguardia. L’anima del CD è estremamente personale e la costruzione dei brani particolare e cangiante come l’anima più sotterranea del prog sa essere. Troviamo persino un assolo di batteria di 4 minuti, molto percussivo, atonale e spesso aritmico, qualcosa che ricorda movimenti del professore Neil Peart, qualcosa di Pierre Moerlen e uno spruzzo estroso di Buddy Rich. “Métamorphose”, quarto brano ha un inizio di assolo soffuso di tromba sopra un tappeto d’archi che è da pelle d’oca, pare un Mark Charing prestato a David Sylvian, particolare e bellissimo da l’avvio ad un mondo tippettiano di grande efficacia. La parte centrale è un fiume pianistico dalle mille meraviglie, dove la perfetta fluidità, consentitemi l’aggettivo amorevole, lascia lo spazio ad un assolo di violino semplicemente perfetto. Lo ammetto, erano anni che non sentivo nulla di più coinvolgente.
Inutile dilungarsi sui brani singoli “Le danse des Cadavres” è più improntato sul cameristico, mentre la finale “Résignation” torna in sapore jazz, qualche sample è ascoltabile dal sito della Label Unicorn, ma non mi pare possano dare l’idea del lavoro, potrebbero, anzi, essere controproducenti.
Un personaggio veramente da tenere in considerazione questo Martin Maheux, anche se mi sento di dover confessare che la mia idiosincrasia verso il francese non mi fa neppure immaginare la pronuncia del suo nome, spero mi perdonerà.
Se non amate gli argomenti trattati, scappate da questo disco. Io, personalmente, lo porto già a fine anno per la classifica dei migliori 2006. Disco Bellissimo, vorrei segnalarlo a tutto il mondo!
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