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SPACED OUT Evolution Unicorn Digital 2008 CAN

Jazz metal progressivo. Ammesso che sia così necessario etichettare un gruppo dalle grandi e varie capacità come gli Spaced Out, credo che queste tre parole possano effettivamente riassumere, pur semplificando in maniera brutale, i contenuti delle loro opere. E qui siamo alla quinta uscita. Come sempre la ricchezza sonora e la complessità delle trame sono le due colonne portanti della musica del trio, qui affiancato da due brillanti tastieristi, che si dividono cinque dei nove brani presenti sul CD. I brani sono un crogiuolo esplosivo di riffs rapidi e violenti del chitarrista Mark Tremblay, tempi intricatissimi e massacranti per ogni cervello che abbia voglia di mettersi a contare e un basso che definire micidiale, rapido e contorto è ancora nulla. Ci sono sequenze ritmiche che variano in brevissimo tempo e gli assolo sono così rapidi e consequenziali, tra chitarra, basso e batteria da ridursi ad essere un tutt’uno. Questi aspetti possono, ovviamente, essere letti in maniera positiva o negativa in base ai proprio gusti e ai propri principi. C’è sicuramente da sottolineare che l’ipertecnicismo sposato ora al prog metal ora alla fusion sinfonica, è peculiarità ben definita, nel senso che chi ascolta percepisce immediatamente se il prodotto è più o meno adatto alle proprie orecchie. La tecnica raramente passa in secondo piano, ma talvolta la ricchezza sonora riesce a far trapelare melodie che comprendono sì la ritmica serrata tipica del genere, ma anche un sapore di sperimentalismo sonoro che il gruppo sa far riconoscere grazie ai complessi campionamenti del bassista Antoine Fafard (compositore e arrangiatore di tutti i brani). Su questi movimenti campionati le sgrappolate di note del basso si muovono con un movimento che ha dell’incredibile per velocità e tecnica, eloquenti in questo senso sono ad esempio “Biomechanic II” o la seguente “Furax II”, mostruso, poi, l’assolo centrale di “Power Struggle”, ma in effetti ogni brano deve avere un attento ascolto per essere assimilato e percepito nella sua complessità e questo al di là di quanto detto sula facilità di percepire se il prodotto possa piacere o meno.
Consigliato apertamente agli amanti di suoni tesi, intricati a tal punto da risultare malvagi nel farsi comprendere, esempio è la penultima “Replication Junction” che sembra creata apposta per meravigliare per complessità con un Martin Maheux stellare, impressionante per quanto riesca ad essere imprevedibile nel creare soluzioni ritmiche. Consigliato pure a chi ama il prog metal, anche se qui il termine sta stretto e adatto solo per far capire un certo piglio chitarristico. Accattivante anche per chi cerca fusion moderna e atipica. Insomma un prodotto che potrebbe incontrare molto i gusti e che al contempo può far arricciare il naso, ma siamo di fronte ad un prog veramente personale e pregevole, forse un sensazionalistico, ma cosa ci si può fare i gruppi in trio spesso ci hanno abituati a questi metodi un po’ gridati.

 

Roberto Vanali

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