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ELOY FRITSCH Past and future sounds Musea / Dreaming 2006 BRA

Con ben sette album solistici all’attivo, giunge inevitabile il momento dell’antologia anche per Eloy Fritsch, tastierista apprezzato fin dallo scorso decennio nelle fila dei new-proggers brasiliani Apocalypse con un innegabile passione per i sintetizzatori e l’elettronica in genere.
L’arsenale di Eloy contempla sia gloriosi synth analogici (MiniMoog, Korg MS-10 ed il “mostruoso” Modular Roland System-700) che odierne workstation digitali (Korg Triton, Kurzweil K2600 tra gli altri) e forse di conseguenza la musica oscilla tra il pomposo, il solenne ed il meditativo fino a rasentare l’elettronica in stile tardo-Tangerine Dream e la new-age, con sezione ritmica – nei rari casi in cui è presente - a completo appannaggio delle macchine.
Nessuno mette in dubbio la competenza del nostro, testimoniata anche dal ruolo di insegnante di “computer music” in un’università di Porto Alegre, né il gusto nella scelta dei suoni, già apprezzato nelle numerose opere della sua band madre. Il problema semmai è un altro, ed ormai annoso: con l’odierno mercato invaso da produzioni progressive, un disco incentrato esclusivamente su suoni tastieristici dovrebbe essere supportato – per poter lasciare segno tangibile - da una creatività ed un’inventiva fuori dal comune, doti che purtroppo già difettavano al biondo sovrano del genere (non farò nomi ma confido sicuramente nella vostra capacità di intuizione!) anche nei suoi lontani anni d’oro.
I sedici pezzi componenti l’antologia, pescati dall’intera e decennale discografia di Eloy (se si escludono quattro inediti), hanno il sapore familiare del commento sonoro, sono l’esemplificazione di una musica descrittiva adatta ad accompagnare epiche scene marziali in contesti fantasy, come i brani tratti da “Mythology”, o viaggi in distanze siderali, come negli estratti da “Space Music” e “Atmosphere” – il tutto è assolutamente non disprezzabile ma probabilmente superfluo alle orecchie smaliziate di un navigato ascoltatore di rock sinfonico.
Vorrei quindi tentare di uscire dai miei panni e pormi nella posizione più obiettiva possibile di un acquirente ignaro di Wakeman (oops!), Moraz, Froese, Baumann, J.M. Jarre e compagnia tastieristica bella, per poter giudicare questi affreschi sonori senza pregiudizi di sorta, ma il sentore del riciclaggio di idee ormai più sfruttate di un giacimento del Klondike è troppo forte per permettermi di salvare questi brani e tirarli fuori dallo stracolmo “Calderone dell’Esercizio di Stile”.
Difficile mantenere l’attenzione viva e seguire i brani nel loro sviluppo, non perché siano troppo ostici (a trent’anni e passa da “Zeit” è inopportuno usare ancora questo aggettivo per la musica “elettronica”…), piuttosto per una piattezza di fondo che purtroppo contribuisce a far passare inosservati i momenti apprezzabili: quelli in cui Eloy rinuncia ai pruriti classicheggianti, abbandona archi campionati e timpani apocalittici e si avvicina al mondo sonoro degli Ozric Tentacles più rarefatti, in particolare alla produzione targata Nodens Ictus (“Microcosmos”, “Shiva”).
Il giudizio finale non può essere quindi troppo positivo, al di là degli aspetti tecnici e della simpatia dovuta a chi porta avanti un discorso sonoro ormai un po’ ghettizzato anche in Sudamerica: esteticamente valido, ma a mio parere piuttosto carente in termini di fantasia.

 

Mauro Ranchicchio

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