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SOPHYA BACCINI Aradìa Black Widow 2009 ITA

Non so come ne uscirò da questa recensione. Comunque vada, spero che possa essere apprezzato quantomeno l’istinto serio, oggettivo e sincero del recensore. Dall’inizio: la Baccini non mi piacque molto con i Greenwall, non mi piacque quasi nulla con i Presence e, pur dichiarando apertamente di riconoscerle qualità e doti indiscutibili, non mi reputavo certo la persona migliore per recensire il suo lavoro solista. Ma chi mi passa i promo per le recensioni ha la vista lunga, ha un intuito fine per la “distribuzione” che difficilmente falla. Così, di buon grado, infilai una prima volta il disco nel lettore, rimanendo positivamente colpito, ma senza esaltazioni di sorta. Lo sentii un’altra volta in macchina (tranquilli, ho decisamente un ottimo impianto) e poi una terza a volume “deciso” in casa in un momento in cui moglie e figli erano altrove e …
Il disco nasce come concept album basato sulla storia pagana di Aradìa, figlia di Hera e di Diana, concepita dalle due dee come donna mortale durante un sabba messianico. Il fuoco arde in lei che ha il compito di istruire uomini e donne all’arte della stregoneria, identificandosi così anche con le figure di Erodiade o Lilith. Premessa mitologica dovuta perché in questa figura c’è molta identificazione e fascinazione da parte della Baccini, e questo ha sicuramente inciso fortemente sull’atmosfera e sulla dinamica testuale e sonora del disco.
Il lavoro, si legge nelle note e sul sito dell’autrice, è stato lungo e sofferto, quasi due anni di studio. Il risultato si sente e ci sta tutto. Da ogni solco escono seria e ponderata maturità musicale, una professionalità indiscutibile e una grande voglia di crescere ancora, sfruttando potenzialità che hanno profonde radici sia nelle doti naturali, sia nel lungo studio, unici fattori in grado di dare inossidabilità all’arte delle sette note.
Il disco si sviluppa in tre tempi diversi, quello della suite per circa un’ora diluita nei tredici movimenti del concept dell’album, i finali quattro brani che comprendono anche la cover di “Circle Game” di Joni Mitchell e il video di “When The Eagles Flied”.
Un lavoro difficile e complesso, fortemente articolato e per questo ricco di fascino, dove al fianco di momenti progressive, decisamente importanti, troviamo momenti blues, jazz, classico/lirico e pop, senza snaturare la complessità del lavoro, ma anzi donandole le valenze che questa molteplicità, se ben applicata, può dare. E’ chiaramente in evidenzia la possibilità di lettura su diversi piani, via via sempre più profondi, in un’evoluzione che è processo catartico, è gesto di risoluzione, è la tormentata risposta che mette a nudo ogni fantasma, sia esso celato nello specchio o direttamente nell’anima. Arrivare puri al traguardo è lo scopo sommo dello studio: sia nel risvolto musicale dell’autrice, sia nel percorso di apprendimento di Aradìa con il suo Hierophante. E apprendere per esprimere e insegnare, pur dominati dalla forza di chi è posto ad insegnarci, in un percorso difficile e insidioso, di dominio della mente e del corpo, è un gioco fatto di resistenze e abbandoni.
Un disco che non nega, ma affronta con sana spavalderia, anche situazioni minimali, accenni appena materiali, contrapponendoli a forti sciabolate sonore, modellate nella ricchezza del suono progressivo e unendo cantati in italiano, in inglese e francese, senza scomporre la comprensibilità dell’opera e accrescendone le sfaccettature.
Molti suoni e molti momenti hanno un’intrinseca aura di nostalgia, intesa non come riproposizione di un tempo andato e inutilmente ricercabile, ma come riscoperta di valori, certi e sui quali si è accresciuta la consapevolezza della crescita. In questo senso vale l’esempio di “Don’t Dream That Dream” con i suoi suoni anni ’70, il suo flauto che rincorre suoni analogici, ricordando a tratti i Delirium o certi Focus, specie nel tratto terminale quando il tempo perde una battuta e splendidamente s’azzoppa in un 7/4. Sempre rispetto ai suoni e alle linee melodiche è fatta salva anche la tradizione partenopea, con alcuni passi dell’opener track o anche in “Al ritmo di una storia”. Intriganti le atmosfere del duo “Beware, Beware” e “Ever Too Small” tra lirica, musical, Zappa, tra minimalismi di pianoforte e liriche molto evocative, senza tralasciare sbotti di rock blues americano, forse un po’ in ricordo di Mamas and Papas. Impossibile non citare il momento di duetto tra la Baccini e Lino Vairetti degli Osanna in “Non è l'amore il tuo destino”, profondo nella sua mescolanza di gesti istintivi e amorevolmente studiati.
… Sophia, mi hai convinto in pieno, aspetto quindi un altro episodio.

 

Roberto Vanali

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