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VESPERO Rito R.A.I.G. 2007 RUS

Provenienti da Astrakhan (sud della Russia) ed autori dal 2004 di diverse incisioni private, sia in studio che live, gli psychedelic-space progsters Vespero approdano finalmente alla loro prima uscita ufficiale su etichetta R.A.I.G. (Russian Association of Independent Genres), sempre molto attenta alle proposte originali provenienti dal proprio Paese. Quest’esordio in realtà non è altro che una raccolta di brani composti tra il 2005 ed il 2006, poi brillantemente masterizzati da Alisa Coral l’anno seguente negli studi di Mosca.
Passati per diversi cambi di formazione, i russi possono vantare comunque uno zoccolo duro formato dai due Fedotov, Ivan (batteria, percussioni) ed Arkady (basso, voce, synth, flauto), assieme al chitarrista Alexander Kuzovlev. A questi occorre aggiungere il violinista Valenti Rulev, che si dimostra indispensabile nell’economia di determinati brani, il tastierista Alexei Kublakov e la vocalist Natalja Tjurina, oltre all’altra cantante Karnelia Mango qui presente come special guest.
L’immagine di copertina è molto esplicativa, rappresentando al meglio quello che sembra essere un vero e proprio simbolo della tradizione magica dell’estremo oriente europeo, proprio al confine con le porte asiatiche. Una musica fatta di ambientazioni astrali, quindi, evocative, pulsanti, dove le voci spesso inquietanti si mescolano ai suoni, divenendo un’unica componente astratta.
Dopo la cupa intro di quattro minuti “Inverno”, ecco subito “Triptych: to the falling sun”, forse il momento migliore dell’intero album. Vengono chiaramente in mente i ben più noti Ozric Tentacles, ma il punto di contatto tra le due band è più che evidente: i Gong autori di “The isle of everywhere”, brano-manifesto dell’evocazione musicale per eccellenza. Dopo una prima fase ambient (sempre, però, con un’energia nervosa che scorre in silenzio sotto l’epidermide), gli assoli di Kuzovlev si articolano grazie al sentiero tracciato dal sapiente e fantasioso violino di Rulev, per poi ricambiare la cortesia al collega in un finale dissonante.
Dopo di ciò, altri momenti interessanti nella title-track, con il flauto di Arkady Fedotov, e soprattutto in “Inna's burst in Tears”, in cui la voce della Tjurina fa da ottimo apripista agli ennesimi ispirati solismi di Kuzovlev.
Per il resto, si ha la sensazione di ascoltare delle space-jam, interessanti ma senza particolari sussulti, abilmente trattate in studio. Oltre ai pezzi citati, che faranno comunque la gioia di parecchi prog fan, il resto dell’album risulterà fruibile più che altro agli amanti sfegatati della psichedelia intesa come quieta ambientazione in cui lasciare scorrere la mente.
“Rito” è comunque un bel lavoro, meno eclatante di quanto si vorrebbe far passare, contenente degli ottimi semi che fanno prevedere dei frutti davvero gustosi. L’ascolto di materiale inedito dimostrerà quanto realmente questa band è cresciuta nel corso degli anni.


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Michele Merenda

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