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SKE 1000 autunni Fading/AltrOck 2011 ITA

La prima volta che ho visto Paolo Botta dal vivo è stata in un concerto del 2007 di Yugen, in un loto locale tra la capitale e la zona dei castelli romani. La seconda durante l’Altrock festival milanese del 2009, mentre accompagnava i French TV. In tutte e due le occasioni ho avuto la sensazione di ascoltare una persona che sembrava matta come un cavallo ma con un approccio “classico” nella scelta dei suoni e nell’esecuzione che, alla fine della fiera, risultava il valore aggiunto in proposte musicali non proprio costruite per piacere a tutti. E soprattutto ho avuto la sensazione di una persona che si divertiva con la musica che suonava.
Potrei parlarvi di quante tastiere anni Settanta sono state usate per registrare questo lavoro, di quanti campioni sonori sono stati usati per il Mellotron, di quanta analogicità troviamo in un’ora e passa di musica, ma non credo che questo sia l’aspetto più importante di questo “1000 autunni”.
L’aspetto secondo me principale di questo lavoro è che dimostra che si può ancora “giocare” con le influenze musicali che hanno fatto la storia della nostra musica (siano sinfoniche o d’avanguardia poco importa) e creare un prodotto che parla sicuramente un linguaggio comprensibile a chi ha masticato la musica degli anni Settanta ma che, opinione personale, è adattissimo alle generazioni sotto i quarant’anni. Generazioni che magari hanno ascoltato i classici in maniera poco metodica, che magari hanno conosciuto Änglagård, Anekdoten e Yugen (visto che stiamo parlando del tastierista) prima di Genesis, Gentle Giant, King Crimson e Henry Cow .
Questa prima prova solista del ragazzo milanese dimostra, in maniera ancora più lampante, la versatilità e la maturità compositiva raggiunta nel corso degli anni di carriera (relativamente pochi se ci pensiamo bene) e la facilità di collaborare con altri artisti (in questo “1000 autunni” sono presenti logicamente buona parte degli elementi di Yugen, i francesi Camembert, membri dei Ciccada).
Mettendomi nei panni di quelli che conoscono e apprezzano il progetto Yugen, forse rimarrebbero un po’ spiazzati da sonorità che non lasciano di certo da parte avant-prog e RIO ma che a tratti (e nemmeno tanto a tratti) sfiorano il Canterbury e il prog sinfonico anni Settanta (Gentle Giant su tutti). Spiazzamento temporaneo, perché alla fine della fiera è un lavoro veramente fatto bene che potrebbe fare avvicinare a sonorità ai quali non sono abituati, appassionati che nuotano benissimo nel mare del rock progressive di matrice classica e sinfonica e che magari possono trovare in questo “1000 autunni” una porta verso sonorità diverse da quelle alle quali sono abituati.
Tutti i brani sono di ottimo livello. Penso al pezzo di apertura “Fraguglie”, ottima dichiarazione d’intenti per il resto dell’album visto che troviamo più o meno tutte le varie influenze che connoteranno i brani che seguiranno, dal Rock In Opposition al Canterbury, oppure a “Rassegnati”, che forse farà sobbalzare dalla sedia qualche fan oltranzista degli Änglagård (sperando che non si soffermi solo sull’inizio del brano).
Uno tra quelli che mi ha colpito di più, avendo una predilezione particolare per le belle voci femminili, è “Carta e Burro”, brano che rimanda direttamente al suono della scena di Hatfield & the North, con la stupenda voce di Roberta Pagani ad illuminare questi cinque minuti scarsi di musica. Anche un brano meno “convenzionale” perché pensi sia fuori dalle corde di Paolo Botta come “Delta” (pezzo d’atmosfera che sconfina nel post rock) diventa un buon punto d’incontro tra modi diversi di intendere il rock progressivo oggi.
Un album bello e importante, ricco di spunti non banali e che ti rimangono impressi. Tra i dischi italiani (e non solo) da ricordare in questo 2011 e fortunatamente ce ne sono stati tanti.


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Antonio Piacentini

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