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DEWA BUDJANA Joged kahyangan Moonjune 2013 INDN

Il cinquantenne chitarrista indonesiano Dewa Budjana, a pochi mesi di distanza del precedente “Dawai in paradise” su Moonjune Records, come previsto sforna un nuovo album sempre per la medesima etichetta statunitense. Le indicazioni – riportate nella precedente recensione su queste stesse pagine online – attribuivano il titolo “Journey” alla nuova pubblicazione; informazione che viene smentita, in quanto l’ultima fatica del compositore asiatico (già incisa comunque nel giugno del 2012) presenta un titolo in madrelingua indonesiana, che letteralmente vuol dire: “Paradiso danzante”. Il luogo paradisiaco a cui l’autore allude è proprio la sua terra d’origine, che diventa così la personale interpretazione musicale della Bellezza. Dewa Budjana, che come già scritto a suo tempo biforca la propria carriera tra il pop-rock di successo dei GIGI e la ricerca jazz-fusion in chiave solista, impronta le uscite a proprio nome con precise connotazioni volte alla riscoperta delle sue radici culturali. Per far ciò, si avvale di musicisti che siano capaci di farsi interpreti di determinate idee, fattore che è stato sempre presente anche nei quattro album precedenti alla prima uscita con la Moonjune. Fu proprio sul terzo “Samsara” (2002) che cominciò il sodalizio musicale col batterista Peter Erskine (Weather Report, John Abercrombie), ancora oggi esistente. Oltre al già citato Erskine, su quest’album suonano esponenti jazz di alta caratura come il tastierista Larry Goldings (John Scofield, James Taylor), il sassofonista Bob Mintzer (Yellowjackets, Miles Davis) ed il bassista Jimmy Johnson (Allan Holdsworth, James Taylor).
I contenuti jazz sono ancora più accentuati che nel recente passato, somigliando nell’iniziale “Foggy Cloud” (composta a suo tempo tra le montagne) alle prime pubblicazioni della ECM. Per fortuna non ci si rifà a quelle “rarefazioni ambient” che hanno pervaso buona parte delle pubblicazioni successive, capaci di creare una vera e propria letargia a tutti coloro che non stravedevano per quel tipo di sound; così, tra sapienti fasi soliste di chitarra, pianoforte e sassofono, il brano scorre sereno e si dimostra eccellente biglietto da visita per l’intero album. Una serenità che si evince anche nella seguente title-track, la cui chitarra acustica viaggia di pari passo con il sassofono, ricordando (come avveniva anche nell’album precedente) quegli arpeggi di cui si era fatto portatore lo Steve Morse più quieto, qui però volti a ridestare l’attenzione verso la cultura del Sud-Est asiatico lungo il tema portante.
“Dang Hyang Story”, in cui si apprezza la fluida chitarra elettrica ed un piano sognante su impeccabili controtempi di batteria, risulta tra i momenti migliori ed è dedicata a Danghyang Niratha, figura spirituale imprescindibile per gli indonesiani e per gli induisti di Bali, praticamente l’equivalente di Maometto per gli islamici. In “As You Leave My Nest”, l’unico brano cantato, vengono sfruttate al meglio le potenzialità di Janis Siegel (Manhattan Transfer) in una composizione molto carezzevole. “Majik Blue” – una dedica alla chitarra Majik Blue Parker – è un altro ottimo episodio, dove ad un certo punto il lavoro delle sei corde diventa più ruvido, con un’interpretazione che potrebbe somigliare a quella di Allan Holdsworth, supportata dall’ottimo lavoro di Goldings sia al piano che all’organo hammond, senza contare il sempre ottimo supporto degli altri strumenti nell’economia del pezzo. E a proposito di dediche, “Erskoman” è un omaggio proprio al batterista Peter Erskine, a cui l’autore sarà sempre grato per l’aiuto ed il supporto nei recenti traguardi raggiunti. Bello ancora una volta l’organo, ma soprattutto i solismi chitarristici che ne ricordano alcuni di Pat Metheny. “Guru Mandala”, con l’inserimento del flauto di bambù nel mix finale, sarebbe potuto comparire sul precedente “Dawai…”, mentre la conclusiva “Borra’s Ballad” è una versione strumentale di “As You Leave My Nest” narrata dalla chitarra acustica di Dewa, a cui risponde garbatamente l’hammond di Goldings.
Anche per quest’album non può non essere citata la filosofia compositiva di Pat Metheny. Nel recente passato Budjana non ha mai rischiato di annullarsi completamente nel “Tutto musicale”, come invece capita spesso al chitarrista americano; per questa ultima uscita, comunque, il rischio citato è stato forte, quindi sarà interessante capire quali saranno le eventuali evoluzioni. Allo stesso tempo, è onesto sottolineare che su “Joged…” non vi sono quelle fasi soliste imperiose che hanno comunque reso famoso lo statunitense in questione.
Questa pubblicazione, disponibile anche in una versione in vinile limitata a solo cinquecento copie, risulta ben arrangiata ed ottimamente assemblata. C’è però una curiosità: i pezzi sono stati registrati in un solo giorno e non si è andati mai oltre la seconda o la terza prova di ogni singolo pezzo. In genere è stata quasi sempre presa la prima registrazione, creando così qualcosa di molto simile ad una situazione live, con poche sovra incisioni. Nonostante la bontà dell’album, probabilmente non saranno in molti i prog fan tout-court che lo faranno proprio. I parametri sono inequivocabilmente molto più vicini all’ascoltatore jazz e solo una grande apertura mentale (cosa che viene augurata a tutti) potrà far sì che si possano avvicinare anche gli amanti di altri generi.
Rispettando la tabella di marcia, all’inizio del 2014 verrà pubblicato un altro lavoro già pronto da tempo, suonato in trio con il fidatissimo Jimmy Johnson al basso ed il celebre batterista Vinnie Colaiuta. La Moonjune Records sembra credere davvero tanto in Dewa Budjana ed il futuro per lui, grazie anche ai nuovi contatti, potrebbe davvero essere luminoso come quel paradiso che ama tanto suonare.



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Michele Merenda

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