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DEWA BUDJANA |
Hasta karma |
Moonjune Records |
2015 |
INDN |
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Ottavo album per il chitarrista indonesiano Dewa Budjana, il quarto per la Moonjune in tre anni. Un’avventura con la label statunitense cominciata nel 2013 ed andata avanti con un ritmo da record, incidendo anche brani già composti nel passato e poi suonati con musicisti via via differenti, capaci di differenziare ogni volta la proposta e facendola quindi apparire altamente originale rispetto a quanto ascoltato in precedenza, pur non rinnegando quel “marchio di fabbrica” che dovrebbe sempre connotare la personalità di un artista. Budjana ha mostrato di poter muoversi nei vasti territori jazz-rock/fusion dal range davvero ampio, oscillando da composizioni più morbide ad altre molto graffianti, esprimendosi con un linguaggio musicale in cui si può cogliere il forte accento della sua terra. Ed il concetto di evoluzione compositiva è andato ulteriormente avanti, con una pubblicazione che stavolta presenta dei contenuti sonori “densi”, avvolgenti, dove per lunghi tratti sembra di potercisi fondere e diventare quindi parte integrante delle varie composizioni. Quella stessa immedesimazione che l’indonesiano ha compiuto fondendosi a sua volta nel ritmo di vita e nelle vibrazioni scaturite dall’East Coast in generale e dalla città di New York in particolare. E qui trova quella che viene ritenuta la miglior sezione ritmica per il nuovo tipo di proposta: António Sanchez alla batteria ed il giovane Ben Williams al basso, cioè due nomi da tempo nell’orbita di Pat Metheny (si sono incontrati nella Metheny’s Unit band nel 2012). Quest’ultimo, oltre ad essere sempre stato un punto di riferimento chitarristico per Budjana, adesso lo diventa (almeno in parte) pure a livello compositivo, anche se il nostro sembra non rischiare di “annullarsi” nelle partiture scritte per i propri compagni di viaggio. Gli assoli sono sempre presenti, con grande fraseggio, spesso messo appositamente in risalto. Tutte caratteristiche, quelle finora citate, che possono facilmente essere riscontrate a partire dall’iniziale “Saniscara” o nell’assolo di chitarra della seguente “Desember”, in cui si avverte chiaramente qualcosa di diverso rispetto al passato, anche quello più immediato. La riuscita di quest’album, paradossalmente, sembra essere dovuta soprattutto alla mancanza di tempo, alla fretta, alla necessità di concludere il prima possibile. Tanto per cominciare, Budjana aveva individuato l’uso del pianoforte come elemento propedeutico alle nuove composizioni; ma siccome il batterista messicano Sanchez aveva solo pochi giorni a disposizione ed in questo arco di tempo i soggetti individuati per l’occasione non erano disponibili,ecco la virata di intenzioni, con un nome ad effetto: il noto vibrafonista Joe Locke, che con i suoi interventi ha conferito quel delicato charme da vecchia scuola jazz che ha dato un tono distintivo all’intera opera.E poi la necessità concludere le registrazioni in un’unica sessione. Ritrovatisi in uno studio del New Jersey in una mattinata terribilmente fredda, Joe Locke riuscì a raggiungere i compagni di avventura con grande difficoltà a causa di una tormenta di neve. Le ore erano contate, in quanto Ben Williams doveva andare via per le sette di sera. Sarà magari per questo che le partiture di basso, assoli compresi, suonano tanto complesse quanto incisive ed immediate; fatto sta che dopo aver analizzato ulteriormente i pezzi, i quattro si sono messi a suonare tutti i brani in presa diretta all’una, senza mai fermarsi, e alle sette e mezza (mezz’ora di ritardo!) Ben era già fuori. Tutto un insieme di circostante che fa di questo lavoro un qualcosa di vivo, di vibrante pur nella sua vasta ampiezza di sensazioni dovute ad un sapiente uso di sporadici sequencer e sintetizzatori. Il risultato finale, quindi, è il frutto di una vera e propria esecuzione live di alcune ore (poco più di sei!), a cui però sono poi stati aggiunti degli overdubs per connotare in un determinato modo le esecuzioni, come ad esempio l’amplificazione dell’intervento solista delle sei corde in “Jayprana” (bellissimo l’assolo di vibrafono, peraltro…). E poi ci sono le parti di pianoforte ad opera del vecchio compagno di avventure Indra Lesmana negli ultimi tre pezzi, aggiunte dal diretto interessato a Jakarta. Ci sarebbe da segnalare i quasi dodici minuti di “Ruang Dialisis”, una composizione cupa, se vogliamo anche dal sapore “sperimentale”, dedicata da Budjana al padre defunto che andò per un anno in dialisi nel periodo in cui il chitarrista stesso pubblicò il suo debutto intitolato “Nusa damai” (1997). Qui è possibile ascoltare la voce di Jro Ktut Sidemen che intona più volte il Mamuit, una canzone tradizionale dei riti funebri indonesiani, che fu cantata anche il giorno di quel funerale. Oltre al bell’assolo di Locke – che a questo punto non è una novità –, c’è da rimarcare l’ispirazione oscura che sembra pervadere l’esecuzione solista proprio di Dewa Budjana. Una traccia che per essere apprezzata in pieno necessita sicuramente di più ascolti.I dieci minuti di “Just Kidung” (l’ultimo termine, in indonesiano, significa “canzone”) sono un degno contraltare del pezzo precedente, con un’apertura solare costituita da una pentatonica tipica dell’Est asiatico, a cui poi fa seguito una composizione in estemporanea, improvvisata direttamente in studio, dove si mette in luce il basso di Williams e la sovraincisione del pianoforte di Lesmana. Chiude “Payong Rain”, ancora con la fusione tra jazz e tradizione indonesiana (e un sempre ottimo Williams al basso), sancendo definitivamente l’intento di ricreare un ideale e rassicurante melange di culture. “Hasta karma”, come suggerisce il titolo, saluta la vocazione karmica di Dewa Budjana di studiare ed approfondire tutto quanto c’è di positivo nel concetto stesso di differenziazione culturale, fino a giungere al troncone unico che unisce l’Umanità (quella vera, quella da scrivere rigorosamente in maiuscolo). E sforna ciò che al momento è con ogni probabilità il suo miglior lavoro. Almeno fino ad oggi, perché sembra che già sia stato inciso un nuovo album con Jack DeJohnette, Gary Husband, Tony Levin ed altri ospiti speciali. Qualcuno, a questo punto, pur non avendolo ancora ascoltato, vuole scommettere sulla bontà del materiale in uscita?
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Michele Merenda
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