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DEWA BUDJANA Surya namaskar Moonjune Records 2014 INDN

Si chiude il cerchio delle opere registrate dal chitarrista indonesiano per l’etichetta statunitense, in attesa di essere man mano pubblicate. Nel biennio 2013-14 sono stati infatti pubblicati tre album, le cui incisioni risalivano ad anni precedenti. Come già riportato a suo tempo (vedi le due apposite recensioni), “Dawai in paradise”, pubblicato nel 2013, era una raccolta molto particolare di brani che andavano dal 2001 al 2011, mettendo in risalto delle composizioni diverse tra loro, pur mantenendo la medesima matrice; sempre nel 2013 veniva pubblicato “Joged kahyangan”, inciso in realtà già da un anno. E adesso ecco questo “Surya namaskar” (letteralmente: saluto al sole), preannunciato da tempo, realizzato nel gennaio 2013 ed uscito agli inizi del 2014 per non accavallare le pubblicazioni sul mercato discografico. Lavoro eseguito con l’ormai affezionato bassista fretless Jimmy Johnson e l’arcinoto batterista Vinnie Colaiuta, cioè figure che oscillano nelle complesse dimensioni di chitarristi come Allan Holdsworth e John McLaughlin. Difatti, il settimo album di Dewa Budjana è differente da quanto ascoltato fino ad ora su Moonjune: un jazz-rock/fusion carico di tensione che si è sentito solo sporadicamente sulle due passate uscite, capace di suonare quindi come l’altra faccia della medaglia di “Joged…”, dove invece si poteva apprezzare la sua estrapolazione più “soft”. Qui c’è un altro modo di intendere la poesia; si guarda alla parte più intima dell’interiorità sviscerando se stessi tramite la tensione, quasi l’invasamento; ci si rivolge alla contemplazione, cioè, carichi di tensione elettrica. È sicuramente un approccio più occidentale, volto anche ad accontentare una fetta ben precisa di ascoltatori che si aspettavano prima o poi qualcos’altro dal talentuoso artista asiatico, il quale non rinnega in toto le proprie origini ed anzi trova modo di inserirle strategicamente. Come ad esempio accade in “Kallinga”, nove minuti aperti dal malinconico violino mistico tipico del sud-est asiatico di Kan Pupung, con cui il trio si lascia andare ad una jam che diventa sempre più intensa (Colaiuta ha dichiarato che Budjana sembrava stesse ad un certo punto suonando death metal!), opportunamente levigata poi con gli overdubs di arpa indonesiana suonata da Kang Iya e le voci strategiche di Mang Ayi. Un lavoro di legato chitarristico che non può non ricordare Allan Holdsworth, a cui durante l’arco delle composizioni è dedicata “Capistrano road” e che suona molto nello stile più rarefatto dell’axe-man inglese. Holdsworth è infatti sempre stato un idolo di Budjana, incontrato poi grazie all’interesse di Leonard Pavkovic nell’allora dimora di San Juan Capistrano a Los Angeles.
A proposito di questo, da segnalare l’iniziale “Fifty” (composta per i cinquant’anni di Dewa) anche per la presenza di Gary Husband alle tastiere (batterista/tastierista che ha suonato con tantissimi chitarristi, Holdsworth compreso), mentre la seguente “Duaji & Guruji” – tra le cose migliori, per assoli sia di chitarra che di basso e ritmiche incredibilmente complesse – si rifà ad un sogno fatto da Budjana, in cui stava suonando con John McLaughlin. E sempre seguendo il discorso dell’ispirazione, “Campuhana hill”, con le sue chitarre acustiche, fa riferimento all’omonimo villaggio situato vicino Ubud, centro di Bali rinomato per arte e cultura, la cui struttura musicale segue dichiaratamente le coordinate della musica di Ralph Towner. Ci sono poi “Surya namaskar, dove l’approccio più orientaleggiante duetta con quello maggiormente blues dell’ospite Michael Landau, gli 11/8 dal fraseggio molto fluido ed articolato di “Lamboya”, la città sulla spiaggia dell’isola (nativa) di Sumba, e la conclusiva “Darem waturenggong”, con ancora una volta un ottimo Jimmy Johnson in fase solista che fa da contraltare all’ispirata chitarra, sullo sfondo del solito gran lavoro di jazz drumming.Per la sua ultima uscita, Dewa Budjana mette un attimo da parte le influenze di Pat Metheny e sempre in compagnia di eccellenti musicisti (pare che Colaiuta non abbia studiato prima le basi dei brani ed abbia proceduto ad istinto…) guarda al più volte citato Allan Holdsworth, senza però cadere nell’eccessiva cerebralità di quest’ultimo ed anzi rimanere radicato nella propria estrazione. Fattore dovuto, probabilmente, anche all’influenza di alcune cose del norvegese Terje Rypdal. Comunque, negli ultimi due anni l’artista indonesiano ha mostrato tutto l’ampio range del suo repertorio, facendosi ogni volta apprezzare. Questa volta, lo abbiamo detto prima, si è sicuramente aperto verso un’ulteriore fetta di pubblico, realizzando un’operazione (relativamente) vicina ai canoni classici della chitarra. Staremo adesso a vedere cosa ci riserveranno i prossimi lavori. Stavolta del tutto nuovi.


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Michele Merenda

Collegamenti ad altre recensioni

DEWA BUDJANA Dawai in paradise 2011 (Moonjune 2013) 
DEWA BUDJANA Joged kahyangan 2013 
DEWA BUDJANA Hasta karma 2015 
DEWA BUDJANA Zentuary 2016 

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