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MANTRA VEGA The illusion’s reckoning Black Sand Records 2016 UK

Nato dalla collaborazione dell’ex voce dei Mostly Autumn Heather Findlay e di Dave Kerzner (voce e tastiere) dei Sound Of Contact, questa sorta di supergruppo annovera altri membri eccellenti quali gli altri Mostly Autumn Chris Johnson (chitarre) e Alex Cromarty (batteria), Stu Fletcher (basso, già nella band di Heather nella sua nuova carriera solistica) e il chitarrista Dave Kilminster, oltre ad altri collaboratori già ben noti come Troy Donockley (Nightwish), Irene Jansen (Ayreon), Angela Gordon e Arjen Lucassen.
Il risultato che viene fuori con questo primo album dei Mantra Vega è qualcosa che di Prog ha poco più che l’odore, spaziando preferibilmente nei campi del pop rock e dell’alternative. I riferimenti ce li dà il gruppo stesso: Peter Gabriel, Pink Floyd, Kate Bush, Fleetwood Mac, Yes, The Beatles e Sigur Ros.
Le dieci tracce (più una bonus che offre la versione acustica di una traccia), dai minutaggi neanche troppo contenuti (quasi tutte oltre i 5 minuti, e la title track finale che si spinge verso i 10) si muovono in maniera sinuosa e seducente, guidate dalla sempre bella voce di Heather, con accattivanti armonie di tastiere e occasionali riff e assoli di chitarra apprezzabili ma che sanno molto di patinato. Facendo comunque ben attenzione, si riesce ad apprezzare il bel lavoro strumentale che comunque rende un album, ancorché prevalentemente pop, ben realizzato e comunque gradevole all’ascolto. I musicisti presenti nel progetto sono di prim’ordine e si sente.
“The Illusion’s Reckoning” è un concept album che scorre placido, dipingendo una serie di quadretti deliziosi e ben concepiti. Dopo alcune tracce di ambientamento, in cui il cantato di Heather a volte è poco più di un sussurro, il dischetto prende improvvisamente quota con “Mountain Spring”, caratterizzata da belle atmosfere di tastiere e un incedere in crescendo in cui la musica vola alta. Si ritorna poi coi piedi per terra con due canzoncine pop abbastanza insipide (nonostante le atmosfere talvolta vengano impreziosite dal bansuri (flauto indiano), per arrivare alla suadente “I’ve Seen Your Star”, delicata e soave, in cui il cantato duetta morbidamente col bansuri su sottofondo di chitarra. Tempo per una breve reprise di una traccia precedente e poi spazio alla lunga title track, senz’altro il momento clou dell’album, assieme alla citata “Mountain Spring”.
L’album è di certo ben realizzato, elegante ed anche accattivante, lo avrete capito. Avrete anche capito che, salvo due o tre episodi meno banali, non si tratta di qualcosa per cui stracciarsi le vesti. Musica per ascolti disimpegnati ma non troppo, fatta per mettere in risalto la sempre bella voce di Heather e la professionale creatività dei musicisti che le stanno attorno; decisamente troppo poco per le mie orecchie.



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Alberto Nucci

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