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DEUS EX MACHINA Devoto Cuneiform Records 2016 ITA

Apparentemente poche cose sembrano cambiate rispetto al precedente album dei Deus Ex Machina: formazione pressoché invariata, con il ritorno del tastierista Luigi Ricciardiello, e attitudine musicale che torna a farsi più rock rispetto alle evoluzioni fusion del passato. Il passaggio al cantato in italiano era già avvenuto e viene confermato in queste 10 canzoni, dopo che la band si era contraddistinta, nella prima parte della propria carriera, in originali, quanto talvolta stucchevoli, testi in latino. Venticinque anni sono dunque passati dall’esordio discografico della band bolognese, un periodo che li ha visti affermarsi tra le realtà più importanti del Prog italico della rinascita, tanto che questo nuovo album ed il conseguente ritorno in scena è stato accolto come una delle novità più importanti dell’anno… e non solo da parte degli appassionati del nostro paese.
La band negli anni di questo millennio è stata spesso in animazione sospesa, tanto che il precedente album, registrato live in studio, conteneva materiale non nuovo e fu quasi una sorta di ringraziamento alla prestigiosa etichetta americana che l’aveva supportata negli ultimi anni. “Devoto” invece è un album tutto nuovo, registrato da un gruppo che, se non in splendida forma come ai tempi migliori, senza dubbio non si è ritrovato per ricordare nostalgicamente i vecchi tempi andati. Si tratta di un album coinvolgente fin dalle prime note, potente e aggressivo, che rivendica un legame con gli splendidi album degli anni ’90 ma che dagli stessi si distacca, come detto in apertura, affermando la vitalità della band, come se questi anni non fossero passati, appropriandosi del diritto di darne la naturale continuità.
Questo nuovo album ha un approccio più diretto, si diceva, ma questo tuttavia è solo apparente, in quanto le canzoni conservano vari livelli di complessità e comunque una componente jazz che permea costantemente la musica, anche se all’interno di territori più hard. Come la nota favola della rana e dello scorpione, i Deus Ex Machina non possono prescindere dalla propria natura e fare quindi a meno di produrre (grande) musica che coniughi complessità e melodie accessibili, riff agili e soluzioni stilistiche degne dei più importanti nomi del Prog, PFM e Area su tutti, ma con miscele hard psichedeliche che un po’ rimandano a Zeppelin o Mountain.
La partenza è affidata alla graffiante title-track, un brano che rimane nella testa dell’ascoltatore; la voce di Piras va ancora a pieni giri e l’utilizzo della lingua madre (invece della lingua… nonna, perdonatemi la battuta) non fa che ricordarci ancor di più il suo nume ispiratore Demetrio Stratos. Superata la brevissima “Sotterfugio”, è la volta di “Multiverso”, un altro brano intenso ed energico, con un cantato quasi in controtempo, che a momenti ricorda un po’ i King Crimson di “The Great Deceiver”, con un grande assolo di chitarra finale che, purtroppo, sfuma troppo presto. “Distratto da Me” inizia in modo melodico, con cori e fiati in evidenza, per poi trasformarsi in una jam semi-strumentale sfrenata, con un organo urlante che si avvicenda con gli altri strumenti. “Eterno ritorno” ha invece connotati folk ed è costruita sulle note di violino e contrabbasso su cui s’inserisce un cantato in forma di nenia ipnotica.
La lunga “Più Uguale” (10 minuti) è un piccolo compendio della musica dei Deus Ex Machina: inizio potente e in pieno caos controllato, poi una fase di blues psichedelico, con chitarra in primo piano; si vira poi su una lunga jam jazzata, ancorché su tonalità sempre potenti, per sfociare infine in un imprevedibile finale dalle sonorità ed ambientazioni cosmiche.
Con “Transizione” le ritmiche tornano a farsi (più) energiche, per un brano in cui per davvero Led Zeppelin e Area sembrano procedere a braccetto. “Autore del Futuro” nella sua prima metà, fatta di un discreto e gentile blues, ricorda un po’ i Garybaldi di “Nuda”, salvo poi sfociare in lande musicali più tipicamente PFM. In “Figli” si torna indietro nel tempo, quando il gruppo veniva (comunque in modo semplicistico) etichettato jazz-fusion, e si fanno prepotentemente sentire i fiati aggiuntivi degli ospiti, tra i quali spicca addirittura il primo batterista (!) della band, Marco Matteuzzi, con l’imperante violino di Alessandro Bonetti che si produce in una sfuriata esplosiva. La conclusiva “Quattro Piccole Mani” è un morbido strumentale blueseggiante, con la chitarra acustica in primo piano.
“Devoto” non è lungo, ma scorre via letteralmente d’un fiato, senza tempi morti o cali di tono (anche se non capisco il senso di un brano come “Sotterfugio”… ma si tratta di un minuto e poco più). E’ di certo un ritorno gradito quello dei Deus Ex Machina che dimostrano con quest’album come sia meglio tacere se non si ha molto da dire; loro hanno taciuto per 8 anni ma confermano che, se hanno deciso di tornare, qualcosa da dire ce l’hanno sicuramente. Il gruppo pare ancora essere in grande forma, dunque; un gran disco ad opera di un grande gruppo come questo non avrebbe bisogno di troppe esortazioni all’ascolto. Do per scontato che “Devoto” sia già in possesso di tutti quanti stanno leggendo queste righe.


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Alberto Nucci

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