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AGUSA Agusa The Laser’s Edge 2017 SVE

Questo album eponimo è il terzo in studio per il gruppo di Malmö, nato dalle ceneri dei Kama Loka, che iniziò il proprio percorso artistico nel 2014 con un delizioso esordio intitolato “Högtid”. Il groove di quella musica vintage, nata spontaneamente dall’estro di Tobias Pettersson (basso), Mikael Ödesjö (chitarra), Dag Strömkvist (batteria) e Jonas Berge (organo), colpì subito nel segno pur non inventando nulla di nuovo. Nel 2015 fu la volta di “Två” che segnò l’arrivo dell’incantevole flauto di Jenny Puertas e di un nuovo batterista, Tim Walander, a tutt’oggi riconfermato. Non molto è cambiato e lo stile degli Agusa si è mantenuto negli anni fedele a sé stesso, eppure mi sento di proclamare in modo abbastanza convinto la superiorità di questa ultima uscita rispetto a quelle pregresse.
Stessa formula vintage, stessa amalgama di melodie folk e psichedelia gentilmente permeate da una austera sinfonicità. Stessi riferimenti artistici con suggestioni che ci riportano vivide a Kebnekaise, Merit Hemmingson e Bo Hansson. Eppure le nuove composizioni, 5 in tutto per un totale di 43 minuti e rigorosamente strumentali, appaiono particolarmente fluide e ricche di poesia, con un discorso che inizia con i dieci minuti di “Landet Längesen” e termina, lasciandoci col fiato sospeso dall’inizio alla fine, con la altrettanto lunga “Bortom Hemom”, in un continuum di musica ed emozioni.
Le immagini di una natura fredda, selvaggia ed oscura, che sembra prendere vita sotto i nostri occhi, così come potrebbe apparirci nel grazioso disegno in copertina di Danilo Stankovic, viene evocata dalla musica soffusa ed avvolgente che ci accarezza con la sue note dolcemente malinconiche. La ripetitività dei motivi tradizionali ed i lunghi assoli dell’organo Hammond e della chitarra sono ancora un convincente marchio di fabbrica ma il gruppo ha dotato la sua musica di un grande pathos che emerge in particolare dalla bellezza delle linee melodiche con un flauto che riesce a portarsi al centro della scena, soprattutto nei momenti più folk. Ho in mente a tal proposito la già citata traccia di apertura, come anche “Sagor från Saaris”, col suo cadenzato ritmo di marcia, gli intermezzi meditativi ed elegiaci ed un finale particolarmente oscuro e brumoso. I cambi di scena sono numerosi ed in linea generale la complessità aumenta di pezzo in pezzo con un culmine che è rappresentato proprio dal brano di chiusura, quello forse più psichedelico ed estroverso del lotto e che si rivela un piccolo capolavoro col suo incipit sognante e melodico, i suoi sviluppi in crescendo, gli impasti speziati di suoni ed emozioni, le screziature acide e hard blues, quell’estasi tipica di una jam session dominata dal feeling e dall’istinto.
E’ giunta la notizia che il tastierista Jonas Berge abbia lasciato il gruppo all’indomani della registrazione di questo album, sostituito negli eventi dal vivo da Jeppe Juul. Questo sarà sicuramente un nuovo capitolo per gli Agusa che mi auguro sappiano sviluppare in modo ancora più efficace quanto di buono proposto fin qui deliziando ancora tutti gli amanti di quelle oscure sonorità nordiche che hanno fatto la fortuna di diversi artisti svedesi.



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Jessica Attene

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