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| ROBERT REED |
Sanctuary IV |
Tigermoth Records |
2025 |
UK |
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Arriva al quarto capitolo la saga “Sanctuary” iniziata nel 2014 con la quale Robert Reed riprende suoni e strutture che caratterizzavano i primi lavori di Mike Oldfield. Come al solito il polistrumentista britannico è quasi unico protagonista, ma i collaboratori continuano ad essere d’eccellenza, rispondendo ai nomi di Simon Phillips, che si è occupato delle parti di batteria, di Les Penning ai fiati, più Tom Newman alla cabina di regia per la produzione. Tre le composizioni proposte, due che si aggirano intorno ai venti minuti, più una breve di poco superiore ai due minuti in conclusione. E basta poco, nell’avvio di “The eternal search” che apre il disco, per capire che anche in questa occasione Reed fa centro! Un inizio di atmosfera, un bellissimo tema scandito dal pianoforte, pian piano l’inserimento di altri strumenti, mantenendo uno spiccato spirito folk-rock. Con l’entrata della batteria le cose iniziano a farsi più vivaci e partono una serie di dialoghi elettroacustici che permettono un’alternanza tra folk, spunti classicheggianti e prog maestoso, con il tema iniziale pronto a riaffacciarsi in più occasioni. Nel finale viene dato molto spazio alla batteria, che porta ad una conclusione caratterizzata da un’energia non indifferenze e che evidenzia tutta la classe e la personalità di Phillips. Si passa poi a “Truth”, che ha una partenza misteriosa, con cori campionati ed un alone elegiaco che rende un po’ oscura la musica. Pian piano e con naturalezza tutto si schiarisce e si avverte una forte luminosità. Reed crea orchestrazioni raffinate, sempre giocando con timbri acustici ed elettrici. Le dinamiche sono ben studiate, con momenti appena “sussurrati” che lasciano spazio ad esplosioni potenti (e viceversa). Non manca uno spunto nella parte centrale più buffo e divertente (come proposto più volte in passato dallo stesso Oldfield, vedi “The sailor’s hornpipe” come esempio più lampante). I sapori folk-prog della conclusiva “Sanctuary” chiudono il disco con sensazioni più intimiste con chitarra acustica e flauto a guidare e l’elettrica a ricamare. È sempre apprezzabile la voglia di Reed di mantenere vive quelle forme di progressive rock legate alle suite, alle composizioni di ampissima durata, al recupero del primo sound oldfieldiano e tutto questo si traduce in un nuovo album in cui l’influenza è sicuramente forte e chiara, ma che è costruito con estremo gusto e che contiene tre quarti d’ora di musica nella quale è un gran piacere immergersi.
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Peppe Di Spirito
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