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CIRCULUS Clocks are like people Rise Above Records 2006 UK

Avevano iniziato a far parlare di sé con il loro esordio, ed ecco che i nostri sette menestrelli tornano con un nuovo album a deliziarci con le loro novelle e i loro incantesimi sonori. Si tratta questa volta di un'opera più raffinata, con riferimenti più classici verso il prog di matrice britannica, che affascina per quel gusto tutto inglese di raccontare fiabe e filastrocche. Riferimenti folk e spruzzate psichedeliche sono ancora fortemente presenti, assieme a una serie di riferimenti miniaturistici alla musica antica, soprattutto barocca, ingredienti insomma già ampiamente sfruttati nel CD di esordio, ma qui miscelati con maggiore efficacia. I riferimenti alla musica barocca sono dovuti soprattutto all'inserimento di strumenti antichi, più che alla costruzione delle melodie (come ricordato nella recensione del precedente album) anche se "Bourée" può rappresentare l'eccezione che conferma la regola: si tratta di una versione molto graziosa e divertente, che vede la curiosa commistione di strumenti vecchi e nuovi, della classica danza di origine francese, arrangiata per l'occasione da Michael Tyack, cantante, chitarrista, nonché principale compositore. "To the Fields" si apre con gli arpeggi bellissimi del cittern che si intrecciano nel corso del pezzo ad un flauto gentile. La voce solista è quella di Lo Polidoro ed il brano non ha in sé nulla di barocco e si profila come una malinconica ballad dal sapore Genesisiano che parla di Ottobre come dell'ultimo momento di piacere prima che il freddo dell'inverno inizi a mordere. "This is the Way", cantata invece da Tyack, si distingue per il motivo portante ripetitivo eseguito al crumhorn (una specie di flauto di legno ricurvo a manico di ombrello), strumento che viene utilizzato in maniera molto creativa anche nella traccia di apertura, "Dragon's Dance", nell'ambito di fraseggi abbastanza classici, come se uno dei tanti assoli di Peter Gabriel fosse suonato appunto con questo al posto del solito flauto traverso. L'effetto finale è molto particolare ed è impreziosito dall'uso del Moog, suonato in maniera molto raffinata e tutt'altro che appariscente, con una selezione di suoni molto soft. L'accento viene sempre posto sulla canzone, sulle melodie, sulle parti corali, sui testi che mostrano un fantasioso senso narrativo, sull'uso di sequenze sonore chiave che vengono ripetute, spesso eseguite con i flauti dolci o con gli altri strumenti appena descritti. I suoni sono sempre soffici e le atmosfere sono dolcemente malinconiche, dal sapore quasi autunnale. Bella sotto questo punto di vista la delicata "Willow Tree" che parla dell'arrivo della vecchiaia in maniera poetica: i miei occhi blu un giorno non vedranno più e la mia pelle soffice cadrà come l'albero del salice. Insomma l'abilità della band sta nel creare pezzi gradevoli, di rielaborare stilemi musicali noti in chiave tutto sommato semplice ed originale, e in sostanza di intrattenere in maniera piacevole gli ascoltatori. Si tratta di uno di quegli album che, adattandosi bene, come i vestiti a taglia unica, alla stazza di una grande fetta di pubblico, raramente riescono a deludere, rappresentando, nella più pessimistica delle ipotesi un piacevole diversivo per passare il tempo in maniera allegra e disimpegnata.

 

Jessica Attene

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