|
La storia recente ci ha insegnato a temere i contratti che hanno legato major discografiche e artisti progressive. Nella quasi totalità dei casi essi hanno portato autentiche rivoluzioni nello stile dei gruppi, e gli ibridi (e i flop) prodotti da IQ, Twelfth Night e Castanarc durante gli anni ottanta sono la prova di quanto sia difficile entrare a far parte di una grande etichetta rimanendo legati ad un concetto di musica anti-commerciale. Se questo fosse stato il caso di "As the world", vi garantisco che sarei stato il primo a sconsigliarne l'acquisto; dal canto loro gli ECHOLYN ci avevano assicurato di non aver avvertito alcun tipo di pressione da parte della Sony, e l'assoluta veridicità di questa loro affermazione è ampiamente comprovata da questi 70 minuti di musica. Rispetto ai due album precedenti (se si esclude la parentesi acustica del mini-cd "...and every blossom"), gli ECHOLYN non spostano infatti di un millimetro la loro proposta, anzi se possibile la rendono ancora più progressiva incrementandone la complessità degli intrecci, strumentali e vocali. Il potenziale commerciale, già basso ma comunque non inesistente all'epoca di "Suffocating the bloom", con "As the world" tende quindi (pericolosamente) verso lo zero; la prima considerazione da fare è dunque che gli ECHOLYN avranno probabilmente bisogno di una mano da parte dell'intero mondo progressivo per continuare nella loro esaltante esperienza. Il che è aspettativa del tutto legittima, considerato che acquistando questo CD vi ritroverete in mano uno dei migliori album degli ultimi anni. Parlare di consacrazione sarebbe tuttavia un errore, semplicemente perché gli ECHOLYN la consacrazione l'avevano già conosciuta con quel (quasi) insuperabile capolavoro che era "Suffocating the bloom", rispetto al quale "As the world" è comunque opera più compatta e corposa. Seguire il percorso delle singole composizioni (16 in totale) è davvero difficile, tali sono le variazioni ed i temi che esse contengono, tant'è che anche per l'orecchio progressivo più allenato occorrono minimo una decina di ascolti soltanto per cominciare a raccapezzarsi.
Come in passato gli ECHOLYN spaziano con straordinaria disinvoltura tra più generi, dalla classica (apportata da una sezione di archi) al jazz quasi canterburiano, dal folk ad una certa tendenza mainstream tipicamente statunitense, avvertibile soprattutto nei cantati a più voci; nella maggioranza dei casi le varie tendenze si fondono però in un unico, esaltante, connubio, conducendo spesso la mente sui binari di un ideale parallelo con i grandi GENTLE GIANT. Per chi ancora non avesse conosciuto la band americana va comunque precisato che il risultato è assai meno ermetico di quanto potrebbe apparire da questa descrizione, ciò per la straordinaria abilità che gli ECHOLYN hanno di far risultare godibili anche le situazioni più intricate. Lasciamoci quindi catturare dall'energia della title-track, dalla splendida complessità di "One for the show" (il brano che chiude la suite centrale "Letters" - sorta di viaggio all'indietro nel tempo compiuto attraverso le lettere immaginarie di un vecchio in una casa di riposo -)... lasciamoci cullare dalle melanconiche melodie di "Never the same" o "Settled land"; difficilmente riusciremo a trovare altrove le stesse emozioni. Dunque, siamo al cospetto di un gruppo di livello superiore, sia per tecnica che per ispirazione, se vi farete sfuggire questo CD potrete quindi tranquillamente smettere di comprare dischi progressive. Anche perché, come suggerisce il retro-copertina, questo può essere il primo passo lungo una strada dissestata... quella che conduce la nostra musica ad uscire dall'underground.
|