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“Intrumental guitar rock with a 1970’s vibe”, così viene descritto sul retro di copertina il lavoro pubblicato con gli Electromags (Craig Kahn alla batteria e Mark Cook al basso), aggiungendo un ulteriore tassello a trentacinque anni di carriera e più di cento album complessivi su cui Gayle Ellett ha fatto la propria comparsa. A questo, bisogna aggiungere la musica composta per oltre cinquanta serie televisive ed altri interventi sempre in ambito di cinema o TV. Capace di suonare una moltitudine di strumenti decisamente ameni (dotara, gimbiri, oud, dilruba, ecc…), il nostro è sicuramente conosciuto per le sue capacità esecutive alle tastiere e soprattutto alla chitarra, rendendosi protagonista dal 1984 con gli acclamati Djam Karet; assieme all’altro chitarrista Mike Henderson, ha infatti caratterizzato molte delle loro diciassette uscite discografiche con lunghi assoli evocativi ed impeccabili. Nella sua sconfinata produzione, trova ora spazio questo “Shiny…”, che appare come un insieme di serene jams tra amici, all’insegna delle basilari matrici rock’n’blues, a dire il vero senza eclatanti colpi di genio. Tra le undici composizioni qui presenti, va citata “The Only Canyon Road”, contrassegnata da un andamento funky su cui si snoda il chitarrismo bluegrass dal sapore “desertico” di Ellett, che si destreggia tra elettrica ed acustica per creare sensazioni ed atmosfera. Una prima parte che può essere tranquillamente associata ai brani meno acrobatici di Michael Lee Firkins, proseguendo poi con un approccio solista molto più personale. Anche “Hardtail Knucklehead” denota un’interessante evoluzione; cominciando in maniera piuttosto sempliciotta, dopo poco meno di due minuti il brano va man mano ad assumere connotati che potrebbero accostare lo stile a quello di Steve Morse, prima di mutare nuovamente e lasciarsi andare ad un assolo da neo-southern in spazi aperti e spensierati, pur senza spingere sull’acceleratore. Nel mezzo, la simpatica “Southern Slide”, che procede come da nome, senza però particolari picchi. Parlando di simpatia, meritano menzione i due minuti e mezzo della molleggiata “Brass Saddless & Steel Trees”, mentre “Three Way Switch” sfodera un gran bel groove. Note acute pizzicate velocemente ed intermezzi salienti di basso (oltre a passaggi più melodici) fanno sì che questo sia uno dei brani più piacevoli da ascoltare. Anche la seguente “Crash Bar” fa la sua figura, mostrandosi abbastanza elaborata e allo stesso tempo diretta. Interessante anche il brusco cambiamento della conclusiva “Trail Dust”, che diventa improvvisamente meditativa. Album in fin dei conti rilassato e godibile, al di fuori del circuito prog-rock ma che, come già detto, guarda sia alle radici musicali che al tentativo di ricreare una positiva e allo stesso tempo nostalgica atmosfera. Non ci si sbilancia verso l’ostentazione tecnica, non essendoci comunque dubbi che ciascuno dei musicisti coinvolti sia validissimo in tale campo. Da ascoltare la sera in veranda, con il sopraggiungere della bella stagione.
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