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KARMAKANIC Wheel of life Regain 2004 SVE

Quello che avrebbe dovuto essere il progetto solista di Jonas Reingold vede l'uscita del suo secondo capitolo, dopo il buon esordio di "Entering the spectra" del 2002. I maligni potrebbero affermare che i Karmakanic non sono altro che l'ennesima (ormai) operazione di clonazione di un Prog ruffiano, con un orientamento commerciale e suoni molto americani che si alterna, e spesso va a braccetto, con momenti di maggior ispirazione... qui nella sua versione più hard (ma senza esagerare). Un po' di nomi da affiancare? Facile: Spock's Beard in testa, Transatlantic in secondo ordine. Beh... questi maligni avrebbero non poche ragioni per affermare ciò. C'è da dire che, quanto meno, il primo album conservava una certa percentuale di originalità e denotava un buona sapienza compositiva ed idee quanto meno divertenti, mentre questo secondo si trascina avanti abbastanza stancamente, senza grossi momenti da ricordare, a dispetto anche di alcuni divertissement che vorrebbero esaltare i fans del techno-Prog ("Do U tango" è un brano incredibile in tal senso: uno dei brani più particolari che abbia mai sentito ultimamente ma che, al di là di un ottimo basso, non lascia traccia). Il tutto viene soffocato da una voglia di strafare e di colpire l'ascoltatore che potrebbe essere ammirevole, se l'ascoltatore stesso non sentisse la necessità di scappare dopo pochi minuti. I musicisti coinvolti in questo progetto sono di prim'ordine: essi provengono dall'area Flower Kings (come lo stesso Reingold o Zoltan Csorsz, ma c'è anche la partecipazione di Roine Stolt) o comunque sono professionisti affermati. La loro tecnica non è in discussione e a tratti viene dato libero sfogo a momenti di autocompiacimento strumentale che rimangono gli unici minuti di autentica soddisfazione, inframmezzati però da minuti e minuti di inutilità. In conclusione: se avete scoperto il Prog solo da qualche mese potete apprezzare quest'album nella sua interezza, altrimenti penso di poter affermare che si tratta di un'opera abbastanza fine a se stessa.

 

Alberto Nucci

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