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MASK Technopia RARE Records/Repertoire 2009 UK

Avevamo lasciato Sonja Kristina impegnata nella reunion dei Curved Air, coronata da un album di rivisitazioni di brani storici e soprattutto da un tour che ha portato la storica band (con tre membri originali) anche dalle nostre parti. Sarà stata la voglia di rimettersi in discussione e fuoriuscire dagli schemi che l’hanno resa celebre, ma questa nuova collaborazione con il polistrumentista e compositore Marvin Ayres la vede impegnata su coordinate sonore ben distanti dall’ispirazione barocca o folk della band di origine. Il progetto Mask, che può già vantare all’attivo l’album “Heavy petals” datato 2006 ed il successo del singolo “Waking the dream”, si affida spesso e volentieri all’elettronica per evocare suggestioni post-moderne, spesso fredde e scarne, ma gli archi di Ayres (violino, viola, violoncello, oltre a tastiere e voce solista su due brani) tentano di distillare – spesso con successo - una fusione elettro-acustica assolutamente inusuale, un incontro di opposti inaspettatamente conciliabili. Con l’ausilio del percussionista Ben Wiesner e del chitarrista Kirby Gregory (vi dice nulla questo nome? era già nel 1973 con i Curved Air di “Air Cut”!), il futuristico duo produce tredici brani di breve/media durata, culminanti nella rarefatta chiusura ad ampio respiro, quasi ambient di “Undulations”, capitoli di un’oscura trama concettuale incentrata sulla ricongiunzione di due amanti fantasmi che si trovano a rivivere la passione che segnò la loro vita terrena.
Le percussioni elettroniche della title-track in apertura chiariscono immediatamente all’eventuale ascoltatore in attesa di sinfonismi dal sapore antico la reale collocazione musicale e temporale dell’album, che si situa appunto a metà strada tra presente e futuro, assolutamente priva di accenti nostalgici. Il violino di Marvin, in un gioco di contrasti, aggiunge un colore organico e spesso “etnico” ad una trama essenziale e ritmicamente scandita, su cui la voce di Sonja è libera di adagiarsi senza dover sgomitare tra arrangiamenti fastosi. La chitarra di Kirby è spesso presente, seppure con un ruolo atipico e di secondo piano che la relega a commenti nervosi e stranianti. Il groove sintetico di brani come “Ice winter” sposta il baricentro verso un’ispirazione di scuola Massive Attack / Bjork, peraltro ammessa dagli stessi artisti, e sposta ancora più l’ago della bussola dal quadrante del (progressive) rock.
E’ forse nelle ballate (ma questa parola è da prendere con le molle, in questo contesto) come “Time to let go”, arricchita dagli strumenti a corda “esotici” di Steve Byrd, la struggente “Space in between” e le malinconiche effusioni pianistiche di “Faithless” che si raggiungono i risultati migliori, almeno dal punto di vista emozionale, anche se la sensazione che la capacità vocali di Sonja in un lavoro di questo genere siano parecchio sottoutilizzate rimane e lascia un po’ insoddisfatti. Detto ciò, è assolutamente palese la passione e la convinzione che gli artisti infondono in questi brani e ciò è confermato dagli sforzi in fase di auto-promozione, segno di grande convinzione nella proposta, che sarà seguita da un tour europeo. Da segnalare, infine, la presenza di una cover del brano di David Bowie “Sound and vision” (dall’album “Low”) che si inserisce perfettamente tra i brani originali della tracklist e che forse ci suggerisce che l’ispirazione artistica del progetto Mask ha radici più antiche di quanto possa sembrare.



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Mauro Ranchicchio

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