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I Moongarden sono tra i più longevi gruppi “progressive” italiani post anni ’70, essendo stati fondati dal chitarrista David Cremoni e dal polistrumentista Cristiano Roversi nei primi anni ’90. Dall’esordio di “Moonsadness” (1994) al nuovissimo “Align myself to the universe”, altri sei lavori e una costante ricerca di una via personale al prog con i “pro” ed i “contro” che tale scelta ha comportato. Un sound di non sempre facile catalogazione, tra excursus metal, elettronica, ballad, new prog ed altro ancora, tanto che non di rado si rimane spiazzati o, quantomeno, sorpresi, dall’ascolto dei vari album. Pregio o difetto che sia, la “visione progressive” della band è quanto di più vicino al concetto di “attitudine” musicale a sperimentare soluzioni nuove e a non adagiarsi su determinati cliché che magari hanno fatto, o fanno, la fortuna di altre formazioni. Approcci tutti rispettabili, ovviamente. Con “Align myself…..” continua il cammino personale di Roversi e C. che, per una volta, mantiene invariata la line up rispetto al precedente “Voyeur” del 2014. Abbiamo quindi Simone Baldini Tosi (voce, violino e liriche), Mirco Tagliasacchi (basso), Cristiano Roversi (tastiere, pedali bassi, programmazione, chitarre), Mattia Scolfaro (batteria e percussioni), David Cremoni (chitarre), Dimitri Sardini (chitarre elettriche) e tre ospiti come Andrea Chimenti e Maurizio Di Tollo (voci) e Matteo Bertolini (soundscapes). L’album si apre al fulmicotone con “Here now”, brano tiratissimo con Scolfaro che picchia duro e gli altri non sono da meno in quanto a grinta e decisione. I piacevoli cori ed il ritornello fanno il resto tanto che riesce difficile rimanere fermi all’ascolto del pezzo. Dopo quanto affermato prima, “Step after step” non può che essere… totalmente diversa. Brano molto soft con pianoforte, voce, tastiere soffuse, chitarre acustiche ed un bel “solo” di Cremoni. Insomma pare quasi di ascoltare un’altra band… Con “Run” Roversi e compagni si spingono ancora oltre. Elettronica e (quasi) metal à la Moongarden, per un brano nervoso, ossessivo, ostico a tratti. Non lascia certo indifferenti… o lo si ama… o lo si “odia”. Dopo la tempesta la quiete di “Golden circle” con la voce di Baldini Tosi (anche al violino, nell’occasione) in evidenza tra i brevi ricami acustici. A mezza via, o quasi, si pone “Planet of the absurd”, con episodi più dinamici ad alternarsi ad altri più d’atmosfera. Nel complesso un pezzo dal buon appeal con un gran lavoro ritmico, un bel “solo” di Roversi ed il violino a ricamare di tanto in tanto. Si prosegue con la mini suite “The immutability”, divisa in tre sezioni: ballad elettro-acustica la prima (“The immutable”); più elaborata e sperimentale la seconda (“Acqua terra fuoco aria”), con le chitarre protagoniste di pregevoli soluzioni ; un crescendo strumentale mozzafiato la terza (“Om”). Chitarre a 12 corde, tastiere e voce per la delicata “Shiva”, di piacevole ascolto. L’album si conclude con “The union”, breve strumentale dominato dalla chitarra senza tempo di Cremoni. “Align myself…” conferma come i Moongarden siano uno dei gruppi di punta della scena prog italiana e che la loro proposta, scevra da grossi compromessi, sia ancora oggi, a distanza di 25 anni dall’esordio, piuttosto originale e personale e questo è senza dubbio un grande merito.
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