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TWENTY FOUR HOURS |
Left-To-Live |
Musea Records |
2016 |
ITA |
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Chi se l’aspettava di ritrovare i Twenty Four Hours, dopo l’ottimo exploit freak elettronico di “The Sleepseller”, disco autoprodotto e distribuito dalla Musea uscito nel 2004, li avevo persi di vista ma in realtà il longevo gruppo dei fratelli Lippe stava attraversando un lungo periodo di transizione e ripensamenti, segnato da un paio di importanti ristampe anche a 33 giri, “Oval Dream” remixato in vinile dalla Velut Luna, ritornano a comporre musica dieci anni dopo ancora con la Musea per un disco molto piacevole e fresco, sebbene lontano dalle esplorazioni temerarie di “The Sleepseller”: “Left-To-Live” in un certo senso potremmo considerarlo come una progressione delle sonorità di “Oval Dream”, i brani sono piuttosto misurati e rispettosi delle esigenze di una grande etichetta come la Musea, quindi meno anarchia per ripiegare su un suono più ordinario, forse di maniera ma comunque definitivamente sempre efficace ed ispirato. Chi ha avuto modo di seguire la loro discografia, il loro primo album ufficiale “The Smell Of The Rainy Air” risale al lontano 1991, può con piacere constatare come “Left-To-Live” sia probabilmente il loro disco meglio prodotto e curato in sede di registrazione, quindi possiamo dimenticare le precedenti produzioni low-fi dalle sonorità impalpabili ma anche per questo affascinanti… Oggi i Twenty Four Hours ci introducono con sonorità pulite e cristalline, anche più potenti di quanto ci avevano abituato, verso l’ascolto di un interessante concept album basato sul quesito “Se l'umanità intera avesse solo 24 ore rimaste da vivere, quali ricordi passerebbero davanti alla sua mente virtuale prima del definitivo trapasso?”, una situazione estrema, quindi, nella quale i Twenty Four Hours approfittano per riflettere sui crimini passati e presenti dell’umanità, in particolare quelli drammaticamente attuali legati al terrorismo e al fanatismo religioso, anche con una certa rabbia, giustamente, come possiamo ascoltare nell’energico brano d’apertura “Soccer Killer” dedicato ai poveri tredici ragazzini iracheni trucidati dalle milizie dell’Isis solamente perché stavano assistendo ad una partita di calcio in tv… Lo stile dei Twenty Four Hours rimane comunque piuttosto sussurrato ed etereo, quindi anche i ricordi più traumatizzanti vengono filtrati come un’esperienza onirica, con qualche concessione romantica come nelle belle melodie pop-rock messe in evidenza in “Magic”, probabilmente il loro brano più accattivante; c’è ancora spazio per il loro tipico psych rock specialmente in brani come “The Sister Never Born”, brano obliquo ispirato al romanzo “Voglio vivere una volta sola" di Francesco Carofiglio che ci riporta alle atmosfere spaziali dei loro primi album, o nella strumentale “Splash” con un’attitudine vicina agli Ozric Tentacles. Il tono di “Left-To-Live” è comunque prevalentemente pessimistico, malinconico, e si rispecchia in brani anche più orientati formalmente verso atmosfere più classicamente progressive ed ortodosse, con riferimenti ai King Crimson, specialmente negli arrangiamenti del mellotron, e Genesis in particolare per la voce di Marco Lippe più teatrale del solito e con evidenti riferimenti a Peter Gabriel, con qualche discreto riferimento melodico canterburiano che denota eleganza ed una certa lunarità espressiva. Mi piace la sobrietà dei brani ed in particolare le tante rifiniture lisergiche che costellano e colorano i pezzi in ogni momento, forse dal mio punto di vista avrei preferito che il disco durasse una manciata di minuti in meno, nella seconda parte l’attenzione forse tende un pochino a calare… Questo dei Twenty Four Hours è comunque davvero un bel ritorno e fa molto piacere vedere come i nostri gruppi storici (penso anche ai Deus Ex Machina) riescano ancora ad andare avanti senza demordere!
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Giovanni Carta
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