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TWENTY FOUR HOURS Close - Lamb - White - Walls Velut Luna/Musea 2018 ITA

Questo dei Twenty Four Hours è un ritorno davvero speciale, un doppio cd che fa un po’ il sunto della loro carriera: coerentemente il titolo cita quattro album per quattro bands fondamentali nella vita artistica dei Twenty Four Hours, ovvero "Closer" dei Joy Division, "The Lamb Lies Down On Broadway" dei Genesis, il "White Album" dei Beatles e "The Wall" ovviamente dei Pink Floyd.
Dopo la bella prova del precedente "Left-To-Live" e la ristampa remixata del loro disco fino ad oggi più sperimentale e visionario, l'elettronico "The Sleepseller", i Twenty Four Hours questa volta si dividono tra Musea e Velut Luna, label italiana dedita anche a pubblicazioni jazz e classiche, per un doppio album che compendia così tutti gli elementi che hanno caratterizzato la musica dei Twenty Four Hours in quasi trent'anni di attività, ovvero una raffinata combinazione di elementi new-wave e psichedelici con un'attitudine progressive rock che si evidenzia nelle strutture mai troppo lineali e banali, ed un'attenzione sempre presente verso la qualità melodica dei brani. In parte registrato live in studio, data l'eccellente prova strumentale dispiace quasi che non sia stato interamente registrato live, "Close-Lamb-White-Walls" è anche dedicato a Peter Principle, grande bassista dei Tuxedomoon recentemente scomparso e non a caso troviamo in un paio di brani come graditissimi ospiti proprio Steven Brown e Blaine L. Reininger.
Lo sguardo musicale dei Twenty Four Hours è sempre piuttosto caratteristico nel scindere aromi psichedelici e prog rock in canzoni dalle sfumature delicate e rarefatte, stavolta con un sensibile ritorno verso dilatazioni space rock ed un feeling sempre più sognante e piacevolmente erratico nei continui mutamenti di forma e spazio... Come nell'ottima rilettura progressiva della "Embryo" dei Pink Floyd, con tanto di mellotron, fusa in una medley nell'altrettanto riuscita rilettura, stavolta più elettronica, di una "What Use?" dei Tuxedomoon, estrapolata dal loro primo leggendario album "Half-Mute". La romantica ballata di amori infranti "All The World Needs Is Love" è quanto di più adatta per il raffinato e malinconico sax di Steven Brown, a seguire l'esistenzialismo cosmico di "Intertwined" narrato dalla voce di Reininger con il suo austero violino teso a scandagliare le profondità dell'animo umano e l'infinito dello spazio...
Forse mai come prima nei Twenty Four Hours si percepisce anche il gusto per il "neo prog" che guarda ai Genesis, come accade nella suggestiva "Supper's Rotten", mini suite di quindici minuti che fluttua con la consueta delicatezza dal psichedelico alle movenze barocche tipiche dei Genesis, assonanze che si percepiscono, curiosamente, anche in "Adrian" tributo ad Adrian Borland, cantante dei The Sound, autori del seminale album post-punk "Jeopardy", morto suicida nel 1999... Ma anche nei momenti apparentemente più oscuri, suoni e melodie scorrono via con la leggerezza di una misteriosa brezza primaverile carica di promesse e premonizioni, lasciandoci impresse sensazioni uniche ed ineffabili, più vicine alla dimensione del sogno che alla più tangibile realtà...



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Giovanni Carta

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