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SPOCK'S BEARD Spock's beard Inside Out 2006 USA

Avete presente il film “Compagni di scuola” di Carlo Verdone? Uno dei personaggi più riusciti ed esilaranti di quel film era Fabris, interpretato da Fabio Traversa. Fabris è invitato per una festa con i suoi compagni di liceo, ma a distanza di venti anni non viene riconosciuto da nessuno, perché invecchiato male e totalmente cambiato, divenendo così il bersaglio delle battute dei suoi ex colleghi di scuola.
Pensando agli Spock’s Beard il paragone con quel film mi viene naturale. Infatti, se uno fosse stato ibernato una decina d’anni e una volta sciolto dai ghiacci cercasse, per riscaldare il proprio corpo e portarlo ad una temperatura decente, il gruppo che ha composto importanti lavori come "The light, Beware of Darkness" o "V", questi rischierebbe la morte per broncopolmonite. Il poverino, se riuscisse a sopravvivere all’escursione termica, dovrebbe guardare in faccia la realtà e rendersi conto che il gruppo che amava una volta non esiste più, e che ha lasciato il nome ad una formazione quasi uguale a quella che amava, ma molto diversa nel modo di concepire musica. Superato lo shock iniziale e rieducato a piccole dosi con tutto quello che il gruppo ha prodotto dopo la sua ibernazione, si renderebbe però conto che questo lavoro (anche se distante anni luce dalle gemme proposte nel passato) è nettamente migliore agli ultimi due dischetti che ha prodotto la band. Logicamente non stiamo parlando di un capolavoro che sconvolgerà i sonni e le notti di tutti gli appassionati, ma di un cd suonato onestamente, con molte influenze, dove la componente rock progressive è una di quelle. Troviamo, infatti, in queste tracce molto blues, molto AOR, tracce sparse di fusion e anche ballads.
Ma andiamo per ordine. I primi due pezzi del lavoro” on a perfect day” e “Skeleton at the feast” sono quelli che più ricordano il tipico suono delle barbe, soprattutto il secondo totalmente strumentale. E fin qui tutto normale, un’apertura fatta in questo modo l’aspettavamo anche. Il terzo pezzo ”Is This Love” ti fa alzare dalla sedia, andare allo stereo e controllare se qualche nanetto malefico ha cambiato, approfittando di un tuo momento di distrazione, il cd sostituendolo con qualche lavoro di Bon Jovi. 2 minuti e 51 inutili. Lo stesso nanetto continua a giocarti scherzi sulla quarta traccia ”All That’s Left”, rimpiazzando ancora il dischetto con qualcuno dei Toto. A questo punto il dubbio che ti abbiano venduto una compilation al posto dell’ultimo SB ti attanaglia. Andando avanti, i quasi 12 minuti di “Whit your kiss” che passa da echi di Police a ritmi africani, dai classiconi AOR americani alla ballata acustica, concludendo il tutto con assolone in pentatonica blues, non convince per niente. Perché sprecare 12 minuti quando ne servivano di meno? Passiamo quindi al blues di "Sometimes They Stay, Sometimes They Go", dove troviamo il chitarrista Alan Morse alla voce. Tralascio, anche un pochino volutamente, pezzi come “The Slow Crash Landing Man", "Wherever You Stand“ e la ballata ”Hereafter” che non cambieranno la storia della musica nel bene e nel male per soffermarmi sulla suite (una insideouttata che si rispetti può mancare del suittone finale?). “As Far As The Mind Can See” è divisa in quattro parti. In queste quattro parti troviamo tutto quello che la band ci ha proposto in questo lavoro, ma sviluppato in maniera più organica, ottenendo alla fine un risultato gradevole. Nel secondo movimento c’è anche spazio a qualche passaggio fusion che non risulta malvagio, nel terzo troviamo anche i coretti dei bambini che fanno molto “Another Brick In The Wall”. E’ comunque il movimento finale “Stream of Unconsciounsnees” che forse piacerà di più agli appassionati storici della band. Conclude il tutto “Rearranged”, il pezzo secondo me più azzeccato e che ti rimane di più in testa, con le sue belle parti di tastiera che rincorrono la chitarra, non lesinando spazio alle linee melodiche che sono sempre state a mio modesto parere il punto di forza di questa band. Ho amato moltissimo gli Spock’s beard di un po’ di anni fa e mi dispiace veramente parlare male di un gruppo che poteva fare molto di più considerata la classe e il talento che ha. Questo disco è un punto di partenza, partenza verso lidi lontani dal mondo del rock progressivo ma che permetterà forse al gruppo di allargare la sua base di estimatori. Accettiamo questo disco per quello che è, scordiamoci per un momento quello che hanno fatto e il nome che c’è scritto sulla copertina, e ascoltiamoci questo lavoro che non cambierà il mondo.

 

Antonio Piacentini

Collegamenti ad altre recensioni

ALAN MORSE Four o'clock and hysteria 2007 
RYO OKUMOTO Coming through 2002 
SPOCK'S BEARD The light 1995 
SPOCK'S BEARD Beware of darkness 1996 
SPOCK'S BEARD The official live bootleg 1996 
SPOCK'S BEARD The kindness of strangers 1997 
SPOCK'S BEARD From the vault 1998 
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